ARIEL SOULÉ- Apprezziamo l’offerta, ma se li tengano i venti milioni di dollari che ci hanno offerto per l’Amazzonia, che puzzano di neocolonialismo. E che se li mettano in cassa per il rimboschimento dell’Europa. E poi, come si possono prendere lezioni sugli incendi da uno come Macron, che ha lasciato bruciare Notre-Dame, patrimonio dell’umanità, senza occuparsi della sicurezza di un edificio di questa importanza? Non fa complimenti Onyx Lorenzoni, capo di gabinetto del Presidente brasiliano Bolsonaro. Egli rincara la dose dicendo che l’inquilino dell’Eliseo lo ha offeso pubblicamente definendolo un bugiardo. Fino a quando non ritirerà l’insulto, il Brasile non accetterà un centesimo. Trump sorvola sulla questione e twitta: Bolsonaro è una persona seria che sta lavorando tanto per il suo popolo. Io lo conosco.
La questione è molto più delicata di quanto sembri e, come al solito, le vere ragioni dello scontro vengono tralasciate. Le riassumiamo. Nel giugno di quest’anno, l’Ue ha concluso un accordo di libero scambio di eccezionale importanza con i Paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay). Esso faceva seguito a quello, già in vigore dal primo febbraio sottoscritto col Giappone, terza potenza industriale del mondo. Il Trattato col Mercosur, se ratificato dai parlamenti, metterebbe l’Unione europea al centro di un’area di libero scambio talmente vasta da competere con gli Usa, la Cina e la Russia. In altre parole, le politiche protezionistiche di questi Paesi, il «trumpismo», sarebbero validamente contrastate dal progredire di un mercato unico globale. Il Fondo Monetario Internazionale condivide questa scelta e si oppone alla politica del grande Donald. Con queste motivazioni: prima di tutto l’innalzamento dei dazi lo pagano i consumatori, dato che le merci costeranno di più. In secondo luogo, risulta illusoria l’idea di salvare posti di lavoro in patria chiudendo le aziende con sede all’estero. Esse sposterebbero le loro strutture produttive in altri Paesi poveri o emergenti, in modo da contenere i costi di produzione. Certamente si potrebbero imporre dazi doganali anche per questi Paesi, ma neanche il più esasperato isolazionismo potrebbe impedire all’iniziativa privata di scegliere le proprie location. A meno che non si ricorra all’autarchia di infausta memoria.
Tuttavia gli oppositori all’espansione dei mercati non mancano neanche nell’Unione. La ragione è evidente. I produttori locali dovrebbero affrontare una concorrenza sempre più ampia e gli utili diminuirebbero. Macron ha minacciato di porre il veto all’accordo Ue – Mercosur, a meno che Bolsonaro non faccia di più per l’Amazzonia. Germania, Regno Unito e Spagna si sono dissociati subito dalla posizione del Presidente francese: accantonare un accordo commerciale di questa portata è una risposta inappropriata al problema. Ci sono voluti venti anni di trattative per concludere l’accordo. Invece il Presidente uscente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha appoggiato Macron: non si possono ratificare accordi con chi mette in pericolo la salute del pianeta. In ogni caso, per il momento, sembrerebbe opportuno un «cessate il fuoco» prima che brucino anche i contendenti.