Un convegno al Palazzo delle Stelline sul lavoro di Leonardo in Lombardia e il primo riconoscimento accademico internazionale al Cristo di Lecco
“Per mia esperienza e conoscenza credo di poter sostenere e confermare che il reperto indagato, il cosiddetto ‘Cristo di Lecco’, di proprietà della famiglia Gallo-Mazzoleni di Lecco, rivela la presenza della mano maestra di Leonardo da Vinci. È pertanto, per mia opinione, un autentico testo grafico di Leonardo da Vinci”.
Con queste parole il Prof. Rolando Bellini (storico e critico dell’arte, già professore di storia dell’arte, graphic art, museologia ed estetica presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera), nel corso del convegno intitolato “Epistemologia della bellezza – Leonardo un caso studio” tenutosi lo scorso 14 ottobre presso la prestigiosa sede del Palazzo delle Stelline ha presentato le conclusioni di un anno di studi scientifici ed accademici effettuati sull’opera del periodo lombardo di Leonardo. Da diversi mesi sono in corso una serie di indagini minuziose per svelare i misteri legati a questa sanguigna. Lo scorso gennaio erano già stati resi noti i risultati dei primi studi sull’opera: analisi scientifiche sulla carta incrociate con indagini storiche che come prassi puntano a non escludere che l’opera possa effettivamente essere riferibile alla mano del maestro vinciano. Si concretizza così il primo passo che oggi viene confortato da ulteriori preziose analisi circa la datazione dell’opera, e se effettivamente possa trattarsi del vero Salvator Mundi di Leonardo. Al termine delle indagini, 24 pagine di analisi tecniche e analitiche effettuate sul foglio del Ritratto di Lecco, i ricercatori, hanno confrontato i dati con quelli acquisiti sul celebre Autoritratto Leonardesco della Biblioteca Reale di Torino, riscontrando alcuni dati simili, come lo spessore della carta, la stessa distanza dei filoni, differenziandosi solo per alcuni elementi, e portando dunque a confermare l’antichità del foglio.
Dagli esami diagnostici, tra le altre cose, è emerso come nel pigmento usato nel Cristo di Lecco vi sia la presenza di tracce di titanio dovuta alla compresenza oltre di ematite anche della ilmenite. In Italia questo minerale è abbastanza raro e presente in Trentino-Alto Adige, in Piemonte, nella provincia di Vicenza ma soprattutto nella provincia di Sondrio, specie in Valmalenco. La presenza di questo elemento è un ulteriore dato interessante per arrivare alla datazione dell’opera, effettuata dalla studiosa Annalisa Di Maria, già ipotizzata intorno al 1492, data che coincide, secondo le fonti storiche, al passaggio di Leonardo dalla Valsassina, Valchiavenna e Valtellina. Molto interessanti anche le analisi (spettroscopia infrarossa) sulla composizione della carta, chiaramente di manifattura artigianale, che hanno rivelato la presenza, ovviamente, di tracce della cellulosa. La collatura (complesso di operazioni con cui, per mezzo di colle, la si rende impermeabile all’inchiostro) potrebbe essere a base di amido vista la presenza del caratteristico segnale che raggiunge, come intensità, quello della cellulosa. Infine, non si evidenziano i segnali della gelatina. Assente il caratteristico segnale della lignina. Il mistero di Leonardo affascina, e le ricerche sull’opera continuano, assicura la studiosa, un viaggio dunque verso nuove indagini per approfondire ulteriormente quanto già confermato dai dati scientifici.
Il Cristo di Lecco ha potuto avere una prima importante consacrazione in ambito accademico durante la giornata di studi interdisciplinari alla quale hanno partecipato eminenti esponenti della comunità scientifica, non solo italiana, ma anche internazionale. Attorno al tavolo dei relatori, oltre al Prof. Bellini, si sono succeduti il Prof. Fabio Minazzi, ordinario di Filosofia della Scienza e Direttore Scientifico del Centro Internazionale Insubrico; il Prof. Pier Enrico Gallenga, ordinario di Clinica Oculistica all’Università di Chieti-Pescara e medaglia d’oro dell’Oftalmologia italiana; il Prof. Marco Marinacci architetto e storico dell’arte, già docente di storia dell’arte moderna e contemporanea presso il Politecnico di Milano; il Prof. Atila Soares Da Costa Filho in collegamento dal Brasile, studioso e storico dell’arte membro del comitato scientifico della Monna Lisa Foundation di Zurigo e della Fondazione Leonardo da Vinci di Milano. Ciascuno dei relatori, attraverso la propria specifica competenza, ha affrontato il percorso creativo di Leonardo da Vinci e il ruolo del grande genio italiano nell’ambito delle arti.
Guardando poco più in alto del capo del ritratto è facilmente distinguibile una sorta di semicerchio, che potrebbe essere un’aureola; se così fosse, l’opera rappresenterebbe un Cristo, ed è la connotazione iconografica che l’attuale denominazione Cristo di Lecco, ma anche come Ritratto di Lecco pone in luce. Inoltre, il tratto del disegno, molto delicato e sfumato, secondo gli storici presenta anche un tratto mancino.
Tutto combacia con l’ipotesi che anche Leonardo fosse nato mancino, ma che avesse imparato a scrivere anche con la destra in un secondo momento.
Nel suo intervento il professor Marco Marinacci ricostruisce in chiave ermeneutica ed epistemologica i collegamenti dell’opera con la Valsassina, territorio in cui probabilmente è stata realizzata l’opera.
“Valsasina viene di verso la Italia: questa è quasi di simile forma e natura, nascievi assai mapello, ecci gran ruine e cadute d’acqua”. Codice Atlantico
Nel Codice Atlantico Leonardo fissa con queste parole la mirabile visione della cascata della Troggia a Introbio «Invalsasina infra Vimognio et Introbbio amandesstra entrando per la via di Leccho si trova la Trosa fiume che chade da un sasso altissimo e chadendo entra sotto terra elli finisscie il fiume». E’ così descritto l’ineffabile spettacolo naturale: un salto di 100 metri del torrente Troggia, che proviene dal lago di Sasso sotto al Pizzo dei Tre Signori ed attraversando tutta la Val Biandino si mostra col suo fragoroso incanto proprio a Introbio, in Valsassina. Torrente che poi diventa affluenta del Pioverna che ruggisce nelle gole dell’orrido di Bellano.
“A riscontro a Bellagio castello è fiumelaccio, el quale cade, da allo più che braccia 100, dalla vena donde nascie apiobo nel lago con inistimabile strepito e romore, questa vena versa solamente agosto e settebre”.
Ludovico Sforza affida a Marchesino Stanga delicate missioni diplomatiche, tra cui non ultime quelle di spronare architetti, pittori e scultori al suo servizio a completare le opere commissionate. Il 29 giugno 1497 il Moro scrive al Marchesino “de solicitare Leonardo fiorentino perché finisca l’opera del Rifitorio delle Grazie principiata”. Milano attende il completamento del Cenacolo ma, come spesso accade, il Maestro è distratto da altri progetti. Dalla residenza di Bellagio, in compagnia di altri letterati e artisti, osserva le montagne e visita i luoghi rivieraschi, probabilmente in maggio, il mese che egli stesso indica quale il più propizio per questo genere di escursioni. Probabilmente in una di queste occasioni vede il famoso ermellino che offrirà il simbolo nomastico disvelando il segreto della “Dama”, e che la prima versione, visibile attraverso analisi radiografiche, rivela avere appunto il manto estivo.
Sempre nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana è custodito un foglio in cui compaiono le Prealpi lecchesi. Si tratta di una curiosa testimonianza, inclusa nel Codice Resta. La pagina è occupata in gran parte dal disegno di un piede, ritenuta opera dell’allievo Francesco Melzi. Nell’angolo in alto a sinistra s’intravede invece un profilo di montagne. Altri tre fogli con le Prealpi lombarde sono presenti nelle collezioni reali di Windsor, nelle prime riprese da Milano, negli altri due lungo il corso dell’Adda. Nel primo si distinguono tre soggetti: un lungo panorama che va dal Cornizzolo al Pizzo dei Tre signori, con al centro le Grigne; riportato poi in un particolare del settore centrale della veduta: il pizzo Arera delle Prealpi bergamasche. Nel secondo la veduta va dalle Grigne all’Albenza. Nel terzo protagonista il Resegone. Scriverà: “La Grignia è più alta montagna ch’abbin questi paesi ed è pelata”.
Tra i primi incarichi che Leonardo riceve a Milano c’è quello per la pala d’altare per la Confraternita di Santa Maria della Concezione: la Vergine delle rocce. Lo sfondo roccioso della Vergine delle rocce richiama un’altra località lombarda: dopo Paderno l’Adda scorre profondamente e le sue sponde assumono sembianza d’alte muraglie, irte di rupi pittoresche e alti speroni. È certamente uno dei tratti più suggestivi di tutto il corso fluviale, che corre in questa gola tra turbinose rapide, dove fanno bella mostra di sé tre massi, oggi in gran parte ricoperti dalla vegetazione. Lo scorcio detto “Tre corni” è certamente conosciuto da Leonardo ed è molto simile a quello che occhieggia nel fondale del celebre dipinto. I pinnacoli che incorniciano la Vergine col Bambino invece sembrano una ripresa diretta “sul motivo” della grotta di Laorca.
Probabilmente Leonardo risale il corso dell’Adda che conosce bene perché spesso soggiorna a Vaprio, presso la villa di Girolamo Melzi, capitano della milizia milanese e padre di Francesco, dove studia il modo di rendere interamente navigabile il corso del fiume da Lecco a Milano, attraverso il Naviglio della Martesana. Un’altra via che può aver percorso è la cosiddetta “Carraia del ferro”, che da Milano conduce a Lecco per via interna alla Brianza. Sarebbe dunque il ponte ad archi multipli di Azzone Visconti, a Lecco, che apparirebbe nel fondale della Gioconda.
Leonardo riprende anche i laghi briantei di Pusiano, Annone, Alserio e Segrino, osservandoli dall’alto, probabilmente dal Pian dei Resinelli. Da essi si propone di ricavare ingenti quantità d’acqua per indirizzarle verso il bacino dell’Adda e consentirne così l’intera navigabilità, osservando e rilevando attentamente l’idrografia della zona. “Il lago di Pusiano versa in nel Lago di Segrino e di Annone e di Sala. Il lago di Annone ha 22 braccia più alta la pelle della sua acqua che la pelle dell’acqua del lago di Lecco e 20 braccia è più alto il lago di Pusiano che ‘l lago d’Annone le quali giunte con le braccia 22 dette, fan braccia 42, e questa è la maggiore altezza che abbia la pelle del lago di Pusiano sopra la pelle del lago di Lecco”.
Questa speciale testimonianza potrebbe costituire un argomento prezioso per la definizione di un tema controverso e assai articolato e divenire volano di valorizzazione del territorio tramite la realizzazione di un museo diffuso nei luoghi leonardeschi della Valsassina, così come prospettato quale traiettoria progettuale dai Proff. Bellini e Marinacci.