Giorgio Netti, compositore di musica contemporanea, avendo letto su Fyinpaper il mio articolo sul film Anselm di Wim Wenders, mi ha fatto pervenire un suo intervento sull’argomento. Allarga il discorso da me impostato al mondo della musica “colta” contemporanea. Le virgolette sono d’obbligo, dopo lo sconfinamento verso la musica popolare operato da compositori come Berio negli anni settanta del secolo scorso e dopo il chiaro interesse dei compositori più giovani verso il rock e le altre forme del rap.
Netti puntualizza che Kiefer prova (e ci riesce perfettamente) a
utilizzare gli strumenti stessi del mercato di massa, senza compromessi e con un prodotto che apre gli occhi su quello che il mercato di massa da sempre nasconde. Non conosco altri esempi colti di queste proporzioni, se non – forse e in piccolo – Wenders (con un linguaggio comunque destinato principalmente alla massa: il cinema) e in piccolissimo Stockhausen (che dai Beatles in poi è arrivato a influenzare la musica pop più intelligente).
Tedeschi entrambi, e non credo sia un caso: il fiume carsico della “grandezza” non ha mai smesso di scorrere là sotto. Nella Germania dell’attuale (loro) musica contemporanea qualsiasi stupidata, se fatta in grande, diventa improvvisamente importante e degna di cospicui (ma sempre meno) investimenti. Non sapendo più distinguere qualitativamente, l’intero circo dell’arte si affida alla quantità, peraltro obiettivo che più direttamente corrisponde alla sua, del circo, necessità primaria: vendere. E il grande Anselm gli dà da vendere, precarietà, impossibilità, gigantismo, in quantità prima di lui inimmaginabili. Grande rispetto.
Riportato il pensiero di Giorgio Netti, sento il bisogno e il dovere di fare presente quanto segue.
Caro Giorgio Netti, il mio articolo è stato una presa di posizione personale a difesa di una poetica post pop, la mia, che non è contro il popolo (basta pensare alla materia che uso, le bocche spalancate della gente senza sovrastrutture culturali che capita nel mio studio, ecc), ma contro l’inquinamento in senso lato, visivo in particolare (quindi il vuoto!). Lo scomodo opposto di Kiefer. Parlo anche di costume, di epoca: tutti da Wenders il sabato sera!
Comunque concordo con la sua analisi pangermanica. Dalla guerra persa hanno tratto vantaggio spirituale: il fiume è tornato fuori, forse non proprio gioioso, ma impetuoso sì. È già molto dopo Auschwiz (ricorda il giudizio di Adorno sulla impossibilità di una qualsiasi speranza, anche quella che possono eventualmente fornire le utopie creative?). Ma nella sua dotta citazione si è dimenticato di Beuys e di noi italiani, Mauri, Berio, Nono ecc, che in qualche modo esprimono la speranza. Certo, a che punto è la notte? Scuretta, tutte le vacche sono nere. Lumicino: tabula rasa.
Capisco e sono d’accordo con la presa di posizione. Non mi sono affatto dimenticato di Beuys e dei vari antecedenti, parlavo dello specifico uso degli strumenti del mercato di massa che Kiefer fa come nessuno prima di lui e senza compromessi. Mauri è quanto di più distante ci sia dagli strumenti del mercato di massa, Nono non ne parliamo nemmeno e Berio in parte sì, ci ha tentato nel 1972 con la sua bellissima serie di 12 puntate televisive. C’è musica e musica, ma erano altri anni e non se ne è fatto più niente. L’ovvia stima che ho di loro non c’entra con il discorso precedente. Citavo Stockhausen per la produzione sterminata: 106 cd: niente di paragonabile a nessun altro compositore contemporaneo (e nemmeno barocco, i romantici si sa, erano stitici).
Quanto alla “Tabula rasa”, come dice Lei, la memoria (e io aggiungo: elaborata) è fondamentale. La tabula rasa è sempre stata un tragico episodio all’interno della barbarie: barbarie prima, barbarie dopo, per secoli. Io rimango interessato al costruire, differentemente ma costruire. La massa, e di conseguenza il mercato di massa, non mi ha mai interessato. Leggo in Kiefer il vero artista, e questo è l’importante, che è riuscito attraverso gli strumenti del mercato di massa a realizzare opere impossibili per chiunque si fosse affidato alle sue sole forze (i casi precedentemente nominati e tutti gli altri non nominati). In questo senso dicevo che la sua unica vera opera, della quale tutto quanto ha prodotto sono più o meno preziose variazioni, è il cambio di scala senza compromessi.