Migliaia e miglia in fuga dal nord. Improvvisamente, in una notte. Il fardellino in spalla, soldi o non soldi poco importa. Se gli aerei bombardano, c’è poco da aspettare e da riflettere. Paura-azione: un solo respiro, senza gap in mezzo. Un rapporto causa-effetto immediato, neanche un minimo di tempo per una minima valutazione. E tutti d’improvviso asserragliati sui treni, autobus, automobili, in moto, in groppa all’asino.
Vettovaglie? Abbigliamento? Mica si tratta di vacanza. Solo fuga inopinata da un grande pericolo incombente. Quale? Quello di essere costretti a convivere con un cattivo condomino che fa di tutto per moltiplicarsi a scapito dell’essere umano, sua vittima a cui si attacca simbioticamente. Poverino! É la sua lotta per la sopravvivenza. Se non fa questo, muore. Per lui l’essere umano è mero strumento, il suo supporto, la sua benedizione. E tu, essere umano, ospite involontario, non aspettarti gratitudine. Non ti conviene.
Ciò significherebbe infatti maggiore dialogo con lui, una più lunga convivenza. E il tempo non gioca a tuo favore. O te ne liberi molto presto o non te ne liberi più. E lui ti sopravvive, dovunque tu vada, dopo. A meno che il dopo sia a lui avverso. Perché la sua natura non è compatibile con la dimensione spirituale. E allora, dopo qualche secondo di turbamento in semicoscienza, che tu vada all’inferno o in paradiso, l’avrai vinta tu.
Senti perché. Se te lo porti appresso in paradiso, lui si pentirà di essersi attaccato a te, non ama la spiritualità, specie se assoluta. Se ti segue all’inferno, saranno due gli inconvenienti per lui. Il primo è nel fatto di essere trapiantato in atmosfere che, seppure demoniache, appartengono all’ultraterreno, mentre a lui è congeniale il terreno-terrestre. Il secondo inconveniente è che lui, questo sconosciuto, si surriscalderebbe fino a morirne. Con grande contrappasso: lui chiude col “bios” e tu inizi una vita d’inferno, per di più eterna.
Vuoi vedere che, comunque la si metta, questo stronzo nano invisibile, che neanche si scusa per essere invadente o meglio invasivo, fa persino il prepotente, fino a sentirsi un semidio? È facile capire perché, improvvisamente, a tempo di detto-fatto, uno si trova in stazione a prendere il primo treno, quasi dovunque vada, purché non verso il nord. Pensa un poco! Una gara tra una paura e un’altra. Infatti, se continuo a stare qui (al nord), me lo becco; ma sarà più grande questa paura o quella – baluginata per un secondo – del contagio incombente tra la calca in treno? Come dire: la sirena è scoppiata e le bombe stanno arrivando: fuggo verso dove non si bombarda o cerco qualche riparo dove mi trovo?
Ma poi sarà mica tutta colpa mia! Ti chiedo e mi chiedo: perché, tutto a un tratto, io, fra tante migliaia di gente, sono fuggito come in presenza di uno tsunami? Ho fatto forse un brutto sogno, e mi sono precipitato in strada? Qualcuno mi aiuta, per piacere, a capire, ora che il terrore si è allentato, cosa mi è successo? Cosa mi ha fatto perdere la ragione, fino al punto da non considerare che quella partenza sarebbe stata un pericolo per le genti a cui andavo incontro, a cominciare dai miei stessi familiari? E poi perché – come dentro mi me mi auguravo – nessuno mi ha bloccato e costretto alla quarantena? Ma la colpa è davvero tutta mia?