Il ruolo della geometria
Nell’opera di Aurelio Sartorio la geometria può essere protagonista assoluta (e tuttavia trasgredita dal fremito delle cromie) oppure comprimaria, vale a dire tesa a superare semanticamente la geometria stessa. Di questo secondo aspetto risulta emblematico un suo dipinto recente intitolato “Gratitudo”, acrilico su tela di cm. 160 x 200.
Le direttrici geometriche si intersecano con apparente disordine, si abbarbicano armonicamente, si pongono come labirinto del percorso visivo e della mente. La tavolozza si ingegna per dar luogo a un coro di cromie che è nello stesso tempo polifonico ed eterofonico. Usando un ossimoro parlerei di una testimonianza di Carmina Burana dall’andamento bilanciato.
Razionalità ed emotività
In effetti, c’è un garante in questo slancio emotivo di Sartorio ed è una razionalità non invasiva né pervasiva, ma sornionamente attiva. E allora questo impazzamento del drive si raffrena. Anche perché Sartorio non intende perdere di vista una dimensione espressiva che gli sta a cuore, la fenomenicità. Ed essa consiste soprattutto in un luminismo così intenso e serrato, fisicamente circoscritto e così connotante da provocare un’analogia con quello di Caravaggio.
Chiaro, nel caso di Sartorio un luminismo diffuso, effusivo e non fondato sul dirompente contrasto di piglio chiaroscurale, come accade con il maestro seicentesco. E questo in sinergia con un modo “ellittico” di trattare il continuum spazio-temporale. Quel mio concetto indica una condizione poetica in cui si va oltre le dimensioni fortemente caratterizzate e storicamente diffuse di “opera chiusa” e di “opera aperta” (con riferimento, certo, a Umberto Eco). L’evento narrativo è certamente circoscritto dai limiti fisici del supporto e del racconto in sé. Quest’ultimo tende a “definirsi” lungo il perimetro, a darsi quindi dei limiti, un punto di non oltrepassamento.
Un equilibrio instabile
Ma tutto questo determina compressione, un’implosione sempre pronta ad esplodere. Ecco allora che il rilevato luminismo “effusivo” di Sartorio si carica, anch’esso, ma in modo sostanzialmente diverso, di una propria drammaticità. Si tratta di qualcosa come un perdimento nelle galassie, vale a dire nelle improvvise spazialità aperte che Sartorio produce all’interno del suo racconto spazio-temporale.
Non manca chi ha richiamato Piet Mondrian a proposito del gioco geometrico di Sartorio. Ma è come dire che chiunque faccia astrazione geometrica è figlio del maestro del Neoplasticismo. In realtà, la geometria di Sartorio si giova di una propria ragione poetica e poietica.
Semmai un momento di incontro – ma è solo analogia – si ha proprio con le opere volumetriche, come Gratitudo, appunto. E il momento di incontro sarebbe nell’oltrepassamento, sia in Sartorio sia in Mondrian, dell’eucledismo, per così dire, cioè della inequivocabile dimensione geometrica.
Verso nuovi orizzonti
Ma è un punto di incontro che accade pur sempre all’insegna della differenza: oltrepassamento dell’eucledismo verso il campo simbolico, per Mondrian, e verso il campo delle aperture spaziali libere e soggettive, per Sartorio. In Gratitudo la geometria contraddice se stessa. La rete geometrica che si svolge in primo piano ad opera del blu è già una premessa all’invito ad entrare, a sondare, perlustrare, perdersi, come detto sopra, nelle varie spazialità che si aprono senza limiti, frammiste a tanti accadimenti cromatici.
E sono processualità cromatiche che pare facciano il verso alle dimensioni del caos, ma nulla hanno a che vedere con esso, né tanto meno con la “frattalità”. Ma non manca un valore simbolico che è nello schiarimento che intravvedi lontano, al fondo, una meta da conquistare oltre i bagliori delle cromie da attraversare.
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