Filosofia della danza: dietro e dentro la danza ci sono molte più cose nascoste concrete e astratte che non nella “danza danzata” così come appare nella sua forma visibile agli occhi di chi guarda e si meraviglia della forza fisica e spirituale che emana.
Da quale interiorità e da quale energia dell’anima nasce il desiderio di misurarsi con il proprio corpo?
Non intende difendere le ragioni della danza Selena Pastorino nel suo libro Filosofia della danza, fresco di stampa, edizioni Il Melangolo. Ragioni trascurate dai difensori della supremazia della mente sul corpo in quanto esso sarebbe res extensa al servizio della res cogitans.
Adepta del balletto (è anche dottore di ricerca, studiosa e curatrice editoriale), l’autrice in realtà non punta a spiegare cosa sia la danza in teoria o distinguere cosa sia danza e cosa no giudicando il tasso di danza sotteso a ogni performance/esecuzione. La Pastorino mira a dare conto della “danza incarnata” dove nessun gesto è sprecato, dove la ricerca di pulizia del gesto è gratuita, senza finalizzazioni, potente in sé. La ragione deve farsi corpo secondo le leggi per certi versi indicibili del corpo. E così si interroga sul corpo danzante dall’interno del corpo vivo e pensante di una danzatrice e maestra.
“Non esiste un corpo, prima, che danza, poi” secondo la danz-autrice, che rievoca come il corpo, a confronto con la danza, vada consapevolmente vissuto, combattendone l’inesperienza iniziale tappa dopo tappa nella conquista di un personale corpo danzante. La memoria del corpo si crea praticando, nel movimento profondo, ben oltre muscoli e tendini, e si traduce in “urgente necessità”.
Bisogna consentire al proprio corpo di apprendere per conoscere la danza e se stessi insieme. Postura, equilibrio, passi, vanno incorporati con le loro regole rimettendo in discussione gli estremi confini della propria corporeità, eccedendo i propri limiti.
Lo specchio è conferma delle regole introiettate come il maestro è parametro di confronto e voce interiore nel rapporto tra “il proprio corpo e il proprio corpo che danza” nella prossimità con i compagni incontrati durante questo stesso percorso. E durante questo percorso si condivide spazio e tempo e banchi di prova, e si modella il carattere, in sala e in classe, prima di farlo nell’abisso della scena.
Si esce dall’habitat-nido prevedibile per comunicare oltre la quarta parete attraverso un “discorso coreografico” reso leggibile e credibile nel danzare con una propria “grafia” mentre si “scrive un testo altrui” da soli, in coppia, in gruppo.
Identità-unica; fragilità-accettata; autenticità-inseguita: la danza fatta corpo che danza, o meglio corpo proprio che danza e che si sfida, è pratica trasformativa, necessaria, da volere con tutte le forze. I grandi ballerini e coreografi citati nel volume lo confermano con frasi scelte; anche le note sono interessanti per ricchezza e coerenza, colta e convinta. La bibliografia e il glossario ad hoc rafforzano l’assunto espresso in questa Filosofia della danza.
Darsi voce oltre la scena è oggi l’obiettivo, non più secondario e non più solo e mediato da altri, di chi danza e studia la danza passando come Alice attraverso lo specchio.