A colloquio col fiore
Carmelo Strano
Ut pictura poësis. Si potrebbe recuperare questa un tempo dibattutissima massima di Quinto Orazio Flacco nell’imbattersi nei Fiori (in buona parte inediti) di Fausta Squatriti e, nello stesso tempo, in una sua inedita “Nota sul disegno”. Questa infatti è la minuziosa descrizione che l’artista e poeta fa del suo modo di sentire e di disegnare i fiori e, non meno, della processualità tecnica. Ad esempio, a proposito dell’uso variegato delle matite (8H, 6B, 4B, ecc.) a seconda della peculiarità di ciascuna e dei risultati diversificati da ottenere. Disegno, ma che è davvero anche pittura. Questo dal punto di vista non tecnico, ovviamente, ma dell’effetto di un non ostentato virtuosismo cromatico, oltre che di segno. Ogni elemento tecnico evidenziato con la scrittura è una testimonianza d’amore verso questo o quel particolare “anatomico” che sta nascendo. Parole semplici, racconto meravigliante tra pathos e razionalità: segno che l’artista è riuscita a trascinarti. E ti tuffi nell’immagine, passando dalla meraviglia al godimento intenso e profondo: per una natura “rinata” e per il sorprendente e coinvolgente esito morfologico. E capisci subito che quel fiore non è nato per parto cesareo. Capisci il lungo ma autoremunerante travaglio durante le molte ore passate a dosare l’incidenza di ogni sua grafite e della duttile pressione della sua mano.
Si può essere razionali (e lei basicamente lo è da sempre, ma come demone di una geometria puntualmente tradita) e nello stesso tempo umidi? Eccome, e questi disegni sono la risposta più alta e più esplicita che l’autrice dà a questa domanda. In aggiunta, giova ricordare che nei suoi lavori tra il 1972 e il 1989 l’artista titola: “In segno di natura”, oppure, più avanti (anni Novanta) “Nel regno vegetale. Il suo periodo 1996/1998 è certamente cupo, oltre che profondo, nell’esito iconografico e nella metafora (la serie “La strage degli innocenti” o la “Via Crucis”). Questa profonda tristezza nei fiori è come la pillola addolcita, ma stavolta per effetto di natura, sicché puoi contestualmente ammirare la maestria tecnica e contemporaneamente goderti quelle “creature nate nella bellezza e recuperate alla bellezza quando l’hanno perduta”.
Conversationally, with the flower
Carmelo Strano
Ut pictura poësis. It is a sentence by the Latin Poet Orazio (Horace) which once was much debated. You could recover it when meeting Fausta Squatriti‘s Fiori (Flowers, most of them are unpublished) and, at the same time, when taking in account her also unpublished “Note on drawing”. We deal with a scrupulous description that the artist and poet makes about her way of feeling and drawing flowers and, no less, about her technical process. That’s worth even with regard to the varied use of pencils (8H, 6B, 4B, etc.) depending on the peculiarity of each and the diversified results to be got. Drawings, but they are likely paintings. You catch this from the effect of a non-showy chromatic virtuosity and of the sign, being the-technical aspects less relevant in such case. Each technical element highlighted in this “note” is a testimony of love for this or that “anatomical” detail that is being born. Simple words, an impressive astonishing life’s microcosm that captures you and you can not escape. And you dive into the image, passing from wonder to intense and profound enjoyment: because of a “reborn” nature and because of the surprising and engaging morphological outcome. And you immediately understand that flower was not born by caesarean section. You understand and feel the long but self-rewarding labor during the many hours spent measuring the interference of each of her graphite and the ductile pressure of her hand.
Is it possible to be rational (and basically she has always been, but as a demon of a geometry that is punctually betrayed) and at the same time humid? Yes, and these drawings are the highest and most explicit answer that the author gives to this question. In addition, it is worth to remember that in her 1972/1989 art pieces, the artist titled: “As a sign of nature”, or, later (in 1990s) “In the vegetable kingdom”. Her 1996/1998 period is certainly dark, as well as profound, in its iconographic outcome and referring also to metaphor (see the series “The massacre of the innocents” or the “Via Crucis”). This deep sadness, as far as Squatriti’s flowers are concerned is like a sweetened pill, but this time in a real natural way, so that you can simultaneously admire the artist’s technical mastery and enjoy those “creatures born in beauty and recovered to beauty when they have lost it”.
In punta di matita
Nota tecnica sul disegno
FAUSTA SQUATRITI
La bellezza sontuosa del fiore freso comincio a disegnarla con la 4B, grassa ma molto affilata, con la quale traccio anche il contorno del gambo che poi riempirò con una 6B, per trasformarlo in un colpo di scudiscio nel cuore di tanta bellezza, e fargli tagliare lo spazio vuoto raffigurato dal foglio.
L’interno del fiore, là dove sgorgano i pistilli, quando ci sono, o dove, come nel caso delle rose, i petali sono anticipati da un nucleo centrale dove essi si formano allargandosi fino alla misura finale, ha bisogno della 3H, mina di grafite dura che dovrò rinforzare, ma solo dentro al nucleo del fiore, con qualche tratto di 3B, per dare la profondità.
Gli spazi tra un segno e l’altro posso riempirli con un tratteggio piatto, fatto con la 8H, che fornirà un grigio omogeneo sul quale i tratti già disegnati si staglieranno in modo contraddittorio, fornendo l’ambiguità dell’ombra come luogo dell’origine.
I singoli petali, in molte specie di fiori, e sono i miei preferiti, hanno delle venature che ne rinforzano la fragile materia, un reticolo geometrico ma deformato, che cerco di copiare, andando in cerca di guai! Le venature che si incidono nella polpa dei petali diventano evidenti e importanti solo quando i fiori saranno secchi, accartocciati, diversi.
Il fiore vero me lo tengo vicinissimo agli occhi, reggendolo con la mano libera dalla matita, nella convinzione di poterlo copiare integralmente, ma finisco per barare, e completo l’immagine a memoria, per onorare tutti i suoi anfratti e arricciature, bordini rivoltati, gonfiori e ritorni al nucleo da cui il fiore comincia. Solo così facendo, la verosimiglianza si compie.
Negli Iris, i petali si possono contare, li disegno con una gamma di matite dure, dalla 9H alla 2H, per non togliere loro il pregio della trasparenza e della leggerezza. Si sviluppano da numerosi punti nel gambo, che si va gonfiando in corrispondenza di rigonfiamenti, guaine di sottile membrana che si aprono, venuto il momento, nell’urgenza della fioritura.
Per disegnare il gambo dell’Iris, la tumefazione che genera il fiore, e il fiore stesso, userò in connubio, sia la 5B che la 8H, durissima, ma avrò cura di incidere una sottolineatura nella sua sensuale guaina, con un intervento di 3B.
L’indispensabile sfumatura la otterrò con la 7H, sulla quale ripasserò accuratamente la 9H per omologare la texture della matita precedente, e renderla liscia.
Il fiore dell’Amarillis sgorga da un gambo grosso, una canna d’organo non interrotto dalle foglie che gli fanno da base là dove lui svetta pieno di energia, al pari della calla, fiore sensuale e angelico allo stesso tempo, con il lungo pistillo giallo al centro che disegnerò con una matita morbida, una B o una 4B, ma lo spazio circostante dovrà essere riempito con una 7H passata e ripassata più volte, incrociandola fino ad ottenere una perfetta imbottitura.
La Magnolia è fatta anch’essa di pochi petali grandi e carnosi, per disegnare i quali mi servirà la 5B con la quale, calcando solo nel punto di partenza, posso iniziare un petalo e finirlo con la media durezza della 2H, intervenendo con la 6H, senza mai ritornare alla matita grassa che su quella dura scivolerebbe, avendo questa riempito ogni poro della carta. Se voglio scurire qualche parte dei petali, lo farò ripassando con la 8H fino a quando il massimo della sua intensità cromatica non sarà raggiunta, con un bell’effetto di levigatezza.
Nell’albero della Magnolia il fiore si forma direttamente da un rametto legnoso e ricurvo, che perdendo le foglie porrà in evidenza, in corrispondenza di ognuna di loro, quelle nodosità che mi fanno pensare alle vertebre della spina dorsale, che, al pari del piccolo nucleo rimasto dopo la perdita dei petali, disegnerò con la 3B usata per il perimetro, e gli spazi interni li realizzerò con matite durissime.
Le Rose sono più belle da secche, ma le disegno anche da fresche, sia pure con un briciolo di antipatia. Per i non pochi petali comincio con la 3B bene affilata, appena si schiaccia perdendo la sua perfezione la affilo di nuovo, e se mi perdo nel conteggio dei petali, concludo a memoria il disegno della Rosa, in modo che somigli al vero, pur non essendo stata copiata fedelmente.
Saranno, a darle il tocco finale per la verosimiglianza, le piccole foglie dall’apparenza spinosa, e non lo sono, che circondano e sorreggono il fiore, per le quali occorrerà una 3B per il contorno, e l’interno della fogliolina lo farò con una 5H, a mano leggera.
Poca passione nutro, nella Rosa, per le foglie lungo il gambo, eppure le devo disegnare, anche se provvedo ad eliminarne la maggior parte dai gambi appartenenti a fiori lontani tra di loro, che prolungo fino a farli incrociare, o almeno fino a dare l’illusione che facciano parte di un unico universo che trattengono disperatamente unito.
Dentro al corpo del gambo, in modo simmetrico tra destra e sinistra, le spine escono come unghie che siano trattenute da una tumefazione dalla quale traggono origine, e dalla quale si liberano a fatica. Mentre i gambi li disegno con la 6B, le spine le delineo con una 5B ma all’interno le riempio con la 5H ripassata più volte.
Aspetto la primavera per avere da copiare le peonie, difficilissime, le disegno con matite dure nel tentativo inutile di non perdermi neppure un dettaglio, e solo pochi tratti li faccio con una B, o con una 5B, certamente il centro con i pistilli che si dipartono in quantità troppo elevata per poterli disegnare tutti come vorrei.
In estate colgo qualche fiore di campo, o erba dalle complesse foglie, le ingrandisco e uso come collegamento nello spazio tra un fiore e un altro, disegnandole con maggiore piacere una volta seccate. La 5H è la migliore alleata per raffigurare la bellezza dello scheletro dei fiori, a noi mostrato dopo che si saranno seccati, uso la 3H tenuta di punta, come uno stiletto, ortogonale al foglio, dal basso verso l’alto, in modo che s’ impunti, e nella nervosità del segno che ne consegue, trovo il modo migliore per mostrare la sofferenza della bellezza.
Quando la struttura del disegno sarà completata, gli spazi vuoti riempiti con un bocciolo, una foglia, un gambo inventato per collegarne altri copiati dal vero, mi sembrerà facile dedicarmi alla lisciatura, al perfezionamento dell’intero complesso di fiori, che non mi sembra mai soddisfacente, pertanto intervengo su non pochi petali con la 9H, girando il foglio in modo da evitare la tentazione di andare con le ombre secondo quanto già disegnato, e compattare le precedenti stesure dando loro ancor più sensualità, nella contraddizione tra Bellezza naturale e bellezza eroica.
Sono molte ore di lavoro quelle che occorrono alla meravigliosa 9H, o anche soltanto alla 8H, per rialzare il tono dei grigi su foglie, boccioli, gambi, ma anche interspazi altrimenti privi di eloquenza.
É un brulichio di cellule impazzite quelle che ci consegnano creature nate nella bellezza e recuperate alla bellezza quando l’hanno perduta.
Nota biografica
Fausta Squatriti (Milano, 1941) è artista visiva, poeta, narratrice, saggista. Tra i musei che collezionano le sue opere si ricordano: Moderna Museet, Stockholm, Centre Pompidou, Paris, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Intesasanpaolo, Milano, Museo del ‘900, Milano, Mmoma, Mosca. Numerose le sue personali in Italia e all’estero. Nel 2017, a Milano, espone presso Triennale, Gallerie d’Italia, Nuova Galleria Morone. Sempre a Milano, nel 2018 è alla Galleria Bianconi. Nel 2019 a New York, presso Albertz Benda.
Ha pubblicato le sue poesie con Vanni Sheiwiller per le cui edizioni, con Gaetano Delli Santi, ha diretto la rivistra “Kiliagono”. Altri suoi editori sono Manni, La vita Felice, Book, Testuale, New Press, Punto a capo. Numerosi i suoi saggi apparsi su Alfabeta, Testuale, Concertino, Il Verri, Meta, Parol, e altre riviste d’arte e letteratura. Nel 2015 l’Harmattan, Paris, pubblica un’antologia di sue poesie tradotte in francese da Bianca Altomare con Alberto Lombardo. Nel 2018 un’altra antologia è pubblicata in inglese da Gradiva Publications, New York, nella traduzione di Anthony Robbins.
Hanno scritto della sua poesia e prosa Antonio Porta, Giulio Carlo Argan, Luigi Cannillo, Annamaria De Pietro, Milli Graffi, Gio Ferri, Francesco Muzzioli, Gaetano Delli Santi, Mariella De Santis, Anthony Robbins, Pietro Cataldi.