Calipso, la nasconditrice, nereide che certo con l’acqua ebbe consuetudine, – giacché Etra, sua madre e sposa del titano Atlante, fu regale ninfa oceanina, – mantenne tale lignaggio nello splendore naturalistico della sua Ogigia. Per sette lunghi anni Odìsseo, naufrago nella sua grotta, esiste e parla con la “ninfa chiomata”, rifiutando ogni ambrosia d’immortalità, sognando in tal luogo paradisiaco il ritorno nella solare Itaca. L’eroe greco è celato, vive il talamo della fertilità nel santuario offerto da Omero in cui la vita viene ornata in tutta la sua forza biologica e passionale. Da Fénelon a Pascoli a Pavese, essa legge l’animo e le carni dell’eroe.
E, ancor più nell’uomo, essa vi nutre l’ironia pur senza abbandonare il fremito d’amore, proprio nel momento in cui, Fabrizio Sapio (classe 1955) fa dire a Calipso, – in questo primo segmento della sua silloge Il libro di Calipso e altre storie (Spazio Cultura Edizioni, Palermo 2021, pp. 86, € 10.00), – «Ti ho visto farti | tenero e vulnerabile | permeabile, persino», agitando con ciò speranze quasi terrene in cui la solitaria nereide elabora in fondo l’umano «sogno di ogni donna», cioè «fare [di Ulisse] un uomo migliore». Ma aleggia un brusio affidato da Sapio al Coro, qui inteso come coscienza collettiva, manifestando i propri timori per l’erosione della civiltà occidentale, e se il mondo tende a rovesciarsi «come un canestro di uova marce» si ricorda con insistenza l’importanza della voce, del canto maieuticamente tratto dal guscio della prosodia, tanto che «la corda | sulla cetra potrà sciogliersi in mònito». Così fa l’arte col suo spalmare, a futura memoria, le gesta degli eroi dalle rosse fattezze sui fondi neri del vasellame, tendendo a risolvere, come un balsamo, ogni durezza d’animo; allora si suggerisce: «Se non badi all’arte e all’uso, | rimane la durezza | dell’eroe dipinto e frantumabile!». Se il cuore di Odìsseo “fugge con piedi giambici”, tra passioni e menzogne, immerso nella luce sospinta oltre le grate, è certo l’approdo di «Hermes, guida dei morti», a tagliare per sempre il dialogo: «il cordone è troncato».
La grecità che spira in questa prima parte non smette comunque di inserirsi nella sezione successiva, già nella stessa dizione di ‘Piccola cosmologia personale’. Ed è sufficiente l’immagine che affiora da “Intenzioni” per confermarci il codice espressivo di Sapio: «Piega l’arco del ciglio | sotto l’increspatura della fronte | mentre, le labbra serrate | e l’occhio carico di lampi, | la tua testa si erge | in un gesto indomito e sicuro.» Da ciò, tra i temi perenni e rinnovabili dell’amore, degli affetti, delle perdite, ecco il desiderio di vivere (e sostenere) la poesia fuor dallo stesso ritmo, alla ricerca di un nuovo improvviso, devastante, scossone sul quotidiano incedere del mondo; allora s’invoca proprio quel «verso senza l’onda della rima», un verso il quale «possegga il capriccioso assalto | della tempesta» e che ci ponga di fronte all’ampiezza del cosmo, alla complessa dimensione dell’umano.
Quale la necessità, quale il senso di tale persistenza di un cuore greco in Sapio? Riteniamo che sia un’urgenza necessaria, un (già presente) riversato trascinamento in questo primo lavoro poetico che porta una prefazione di Elio D’Anna ed una nota in IV di copertina di Nicola Romano. Certo, tra gli esempi di contemporanea presenza di grecità classica non dimentichiamo l’ininterrotto carme “Attendendo Leda” di Tomaso Kemeny; ma è stato con Jannis Ritsos che si è avuta una svolta sull’opportuna attenuazione del mito dalle sue vesti di tragica magnificenza, dalle sue insistenze anaforiche o dalle troppo frequenti eccedenze della metafora.
Un’operazione che abbiamo già sottolineato quale efficace denudazione del mito: un percorso antiepico condotto proprio nella raccolta esplicativa di “Ripetizioni” in cui il poeta neogreco di Malvasìa, attraverso la demistificazione, conduce alla nudità dei comportamenti e alla collocazione del vivere nella lettura del quotidiano. Ma la Grecia, per Sapio, fa capolino da ogni piega; la si coglie nel suo ergersi, compresa in un’atmosfera selenica, dal «guscio notturno di chiocciola arcaica»: intatta nella retina, intatta nel cuore.
Fabrizio Sapio
Nasce nel 1955 a Palermo in una famiglia dai forti fermenti artistici. Dopo la laurea, alterna la principale attività nel settore dell’intermediazione con esperienze attoriali e registiche, coltivando attivamente la passione per la scrittura di saggi, prose brevi e poesie. Tra le più recenti esperienze, la partecipazione a eventi culturali on-line, la cura di una sezione poetica presso un blog e corsi di scrittura creativa, con la pubblicazione collettanea di numerose prose. Al suo attivo anche letture pubbliche di componimenti poetici e letterari, conferenze econversazioni, nonché la partecipazione a eventi ed esibizioni di Danza Storica dell’Ottocento. Vive tra Roma e Palermo.