Fabrizio Crisafulli, nella sua lunga internazionale attività di ricerca come artista visivo e regista di teatro, ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui, nel 2015, la laurea honoris causa in Performance Design conferitagli dall’università danese di Roskilde. Uno dei suoi filoni di ricerca è il progetto “Teatro dei luoghi”. Esso si basa su una modalità operativa avviata ali’inizio degli anni Novanta e alla quale ha dedicato articolate auto-analisi[1].
Il progetto assume il “luogo” quale matrice dello spettacolo, con una funzione assimilabile a quella che il testo ha svolto nel teatro di rappresentazione. Sgomberando il campo da possibili equivoci, va subito precisato che sarebbe errato pensare a un teatro che si svolge fuori dagli edifici deputati. Nell’accezione proposta, l’espressione “teatro dei luoghi” designa una pratica che può essere realizzata in qualunque sito, e dunque anche sul palcoscenico d’un teatro all’italiana. Si tratta perciò di una pratica ben lontana dalle esperienze che hanno negato programmaticamente il luogo teatrale convenzionale, come lo street theatre o il teatro politico degli anni Sessanta e Settanta. Piuttosto, questa pratica invece trova corrispondenze metodologiche col site-specific theatre o col cosiddetto immersive theatre, oltre che con attività appartenenti ad ambiti artistici contigui, quali l’arte ambientale e l’arte relazionale. Ad ogni modo, una pratica non facilmente riducibile a etichette delle quali, anzi, l’artista non tralascia di evidenziare limiti e inadeguatezze[2].
[1]La sua pubblicazione più recente sull’argomento è Fabrizio Crisafulli, Il teatro dei luoghi. Lo spettacolo generato dalla realtà, con prefazione di Raimondo Guarino, Artdigiland, Dublino 2015. Il libro, esito d’una lunga elaborazione in progress, distilla una riflessione snodatasi nell’arco di almeno un quindicennio, documentando la rilevanza che il momento della concettualizzazione e della teoresi rivestono nella pratica artistica dell’autore. Esso segue di qualche anno il bel volume dedicato dallo stesso Crisafulli a un altro tema che gli è particolarmente caro, quello della luce in teatro: cfr. Id., Luce attiva. Questioni della luce nel teatro contemporaneo, Titivillus, Pisa 2007.
[2]Così, in particolare, richiamandosi a Mike Pearson, Site-specific Performance, Palgrave McMillan, Basingstoke 2010, egli osserva come la definizione “site-specific performance” sia troppo generica e carente nel circoscrivere con precisione i fenomeni, e lo dimostra anche il proliferare, negli ultimi anni, negli studi internazionali sui rapporti tra teatro e luogo, d’una quantità di altre definizioni che tentano una maggiore individuazione rispetto alla dicitura site-specific, «facendo comparire di volta in volta, davanti ai termini theatre o performance, aggettivazioni come site-conditioned, site-determined, site-referenced, site-conscious, site-responsive, site-sensitive, context-specific, site-based, site-dominant, site-adjusted, site-sympathetic, site-generic e non poche altre» (Fabrizio Crisafulli, Il teatro dei luoghi…, cit., p. 71).
Accanto ad aspetti più noti e indagati del suo lavoro registico, quali l’uso della luce e della tecnologia, nel progetto “teatro dei luoghi” sono messi a fuoco altri processi fondamentali della creazione teatrale. Ad esempio, il rapporto con gli attori, con lo spazio, coi testi, con le memorie personali e con quelle collettive, e le dinamiche che presiedono all’interazione e all’integrazione dei diversi elementi tra loro: moventi e motivi conduttori che hanno guidato e orientato l’intera sua produzione teatrale e installativa. Un’attività che è sempre stata alimentata, peraltro, da un rapporto molto stretto tra pedagogia e arte.
Catanese di nascita, architetto di formazione, con precoci interessi rivolti ai rapporti tra urbanistica e teatro, e con alle spalle una militanza ultra decennale a sostegno delle lotte sociali e ambientaliste nel Sud Italia, Fabrizio Crisafulli ha sempre assecondato la sua inclinazione all’osservazione, alla comprensione dei luoghi, alle storie degli abitanti e al loro immaginario. A queste matrici della sua esperienza va senz’altro affiancata la sperimentazione condotta nei laboratori realizzati con gli studenti di università e accademie di belle arti. Un’esperienza, questa, che lo la tenuto lontano dinamiche creative che normalmente si sviluppano all’interno d’un gruppo di lavoro. Piuttosto, essa è diventata anche una palestra nell’impiego di mezzi essenziali. Cosicché la luce e la tecnologia, elementi di primaria importanza nel suo operare artistico, non hanno mai esiti effettistici e decorativi.
È significativo, del resto, che egli prende coscienza delle stesse potenzialità strutturanti del luogo mentre prepara lo spettacolo Il Pudore Bene in Vista. Presentato per la prima volta in versione definitiva il 4 settembre 1991, al Teatro della Rocca, nel contesto del Festival Internazionale di Teatro di Fara Sabina, questo spettacolo nasceva dai laboratori svolti all’Accademia di Belle Arti di Catania e aveva come performer tre studentesse di scenografia.