Malgrado tutto, ancora adesso non è facile pensare in termini di cultura europea come fatto antropologico, storico e prospettico. I freni vengono dalla stessa compresenza delle varie lingue. Ogni Paese parla la propria, nelle sedi ufficiali vale il francese e talvolta l’inglese, ma poi gli spagnoli hanno la propria, e così gli svedesi, gli olandesi, ecc. C’è poco da fare, ancora oggi ognuno è arroccato nella propria lingua di cui è molto geloso. Il rapporto è analogo a quello tra un madrelingua francese e uno che non lo è, anche se conosce bene quella lingua. Insomma, ognuno nella propria lingua trova tradizioni, cultura, affetti, comportamenti, tratti antropologici, il senso della propria casa, lo specchio di se stesso. Magari gira l’Europa, che sia Bruxelles o Amsterdam e poi Berlino, e quindi torna a casa, nel proprio Paese, con la sensazione e il sentimento netti di tornare a casa propria, mentre prima è stato all’estero. Gli altri concittadini europei sono amici, ma non vicini di casa, non parenti.
Le scuole di formazione internazionali sono una vera eccezione, anche perché costose. In ogni caso, la mia mente di scolaro si apre, sarà più aperta di coloro che frequentano le scuole pubbliche, ma io fisso un rapporto culturale con le lingue che imparo, e mantengo la piena coscienza che sono italiano e il mio stato è l’Italia e miei amici e parenti sono in Italia, il mio respiro è italiano, e così il mio pensiero, il mio umore, la mia tradizione, la mia cultura e identità. Sono aperto verso ogni cultura e razza, ma questo non mi fa sentire meno italiano e più europeo. Anzi il mio antirazzismo è di piglio italiano molto prima che europeo. Il mio istinto è italiano. Il sentimento europeo mi prende quando guardo agli aspetti politici, quando voglio capire come una normativa europea si ripercuote nella vita sociale quotidiana del mio Paese. Oppure quando allargo la vista al panorama politico internazionale.
Anni fa avevo proposto a un editore un manuale di storia della letteratura europea. A momenti mi rideva in faccia, ma temo che nulla sia cambiato a tutt’oggi. Ogni Paese ha aperto qualche breccia nei propri confini, ma rimane fortemente trincerato, non meno dal punto di vista metaforico. Una sorta di necessità virtù, allora? Certo, e con piena convinzione. Dove può andare un Paese che la geografia lo fa dire europeo, senza l’Europa? Già la UE non riesce a far sentire la propria voce in modo efficace internazionalmente, figurarsi un solo stato che non ne fosse parte! Ma alla fine che male c’è: ho la mia cultura francese, italiana, norvegese e mi faccio rappresentare dall’Europa nelle grandi situazioni geopolitiche. Inoltre ricevo anche dei finanziamenti… Tuttavia si pensi a come questa prospettiva o approccio cambia subito i propri connotati, quando guardo alla storia e trovo, infinite sfaccettature autonome, ma accompagnate, in una visione mondiale, da un sentimento di geografia forte, cioè di essere parte del continente europeo.
Quanto alla quotidianità, le cose prima o poi si aggiusteranno.