Il cammino artistico di Enzo Rovella è spesso imperniato sull’ambiguità linguistica. Infatti, il soggetto rappresentato non è integrale né tantomeno realistico. Il pittore punta a esiti ambigui, appunto, sicchè la figura o il paesaggio sono anatomicamente imprcisi, sfuggenti, ben poco caratterizzati sul piano denotativo.
L’ambiguità estetica di Enzo Rovella
Fanno quindi eccezione le libere elaborazioni policrome della sua stagione informale, quieta e quasi allusiva, o le sue composizioni astrali. La sapida ambiguità a cui alludo è nei suoi Landascapes, nelle Night Visions e, ultimamente, nei Daimons, acrilici su stela, diversi di essi di grandi dimensioni, in anni recenti esposti all’ex Convento del Ritiro, a Siracusa.
La “dematerializzazione” del corpo
Le tre citazioni esemplificano un crescendo verso la “dematerializzazione” del “corpo” (si tratti di paesaggio o di figura) e anche verso l’essenza del soggetto rappresentato. Un’essenza vicina allo spettrale. Non avanzerei ipotesi di anima che trasupera il corpo e che si fa protagonista assoluta. Mi pare che Enzo Rovella, pur producendo queste trasmutazioni del soggetto, non si allontani dalla fenomenicità.
Aggiungerei che quest’ultima si accentua, piuttosto, fino a sfaldarsi, direi a caoticizzarsi, a farsi emblema delle idee sul caos proprie dei nostri giorni. E si tratti pure “caos calmo”, visto che le sagome in qualche modo sopravvivono. Ma è o di sapore quasi ossessivo, non priva di richiamo estetico, anche se questo, pur espressivamente coltivato, lascia spazio agli interrogativi inquietanti, non espliciti, né perentori. Si afferma, infatti, una fissità assoluta e “aniconica”, e quasi iconolasta. Ma essa freme e fa fremere il fruitore, spesso anche per virtù dell’intorno formalmente inquieto che circonda o inghiotte la figura. E questa sembra vivere una sorta di nuova stagione “metafisica”, ben lontana dal compiacimento estetico che è nella sospensione dechirichiana.
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