Enrico Castellani, una disciplina orientale della mente

La passione non chiede permesso. La visione richiede meditazione. Quella di Castellani, nella sua ansia di perfezione, si offre armonicamente ricomposta in lucida sintesi plastica, per raggelare il caos calmo dei moti interiori. Come un mare profondo di correnti fredde invisibili e potenti che spinge onde molto lontano dall’origine. Tutto deriva dalle forme, anche da forme alla deriva. 

Un apparato di cattura dell’attenzione, una costellazione di analogie formali dove la forma rappresenta lo stimolo e non l’immagine. Poroso paziente senziente, solo apparentemente algido e riflettente. Monocromo ma molteplice. Evocativo e plurivoco. Capace di comporre implicazioni, risonanze e tensioni vitali. Uno spazio potenziale, un centro di attenzione, un campo di ricezione dove incubare tutta la tensione della totalità profonda. 

Se il mondo è aperto, un corpo di connessioni infinitamente permeabile, l’opera è una macchina interiore introflessa ermetica ed impermeabile, celata dentro i propri misteri inenarrabili di implicazioni e risonanze implicite.

Si tratta di tradurre nel ritmo spazio certi movimenti simbolici. Un labirinto ortogonale che consente di perdersi nella regolarità, uno spazio normato da un modulo di ripetizione che non si offre come luogo rassicurante e risolto entro cui perdersi ma predispone un enigma che chiede di interrogare le aporie dello spazio. Si tratta di tradurre nel ritmo dello spazio certi movimenti dello spirito. Solo una mente tersa, attraversata da un caso organizzato, può sostare presso la tempesta dei segni al riparo dallo smarrimento. 

La ricerca di Castellani muove da una istanza di rifondazione dell’oggetto artistico a partire da una rimodulazione analitica minuziosa e maniacale del gioco di tensioni superficiali. Una severa, intransigente sintesi armonica di ondulazioni. Movimenti minimali scanditi secondo alternanze di concavità e convessità. Molte opere prefigurano anche sviluppi del moderno immaginario topologico che oltrepassa il troppo rigido codice euclideo di organizzazione dello spazio in un moto di sviluppo-inviluppo che genera un continuo interscambio di piani e trasposizione dell’interno all’esterno. Una piega della forma, un anello che avvolge e si riavvolge in una osmosi aumentata col Mondo.

Una fenomenologia della forma allo stato nascente che produce un movimento di genealogia dello spazio che non rappresenta solo luogo di ricezione passiva delle forme ma si innesta su movimento di co-appartenenza e di osmosi con il movimento ondulatorio di origine della forma che non solo si situa nello spazio ma contribuisce a farlo sorgere. Dunque non solo epifania, manifestazione dello spazio, ma vera e propria ontologia dello spazio.

Il numero, il ritmo, la metrica modulare di giochi combinatori ripetute rappresenta il vettore formale, il testo compositivo dove si deposita la traccia archetipica, l’origine dell’opera. Una filigrana che lascia scoprire tutto il pudore raggelato della forma sottesa ai giochi di tensione elastica di vibrazione e resilienza della consistenza materica. Una combinazione di motivi. Una concrezione di pro-tensioni oltre la superficie perché ciò che accade sull’epidermide sensoriale dell’opera costituisce esso stesso architettura e non solo rivestimento decorativo. È la forma inviluppante-eiettate-aggettante a costruire la grammatica visiva di Castellani. Sono incontri inattesi nel vuoto dove Il peso di una linea prima di dissolversi nell’indistinto procede nel distacco tra scie evanescenti affondate nel bianco. Increspature, ostinate persistenze somatizzate su superfici reattive ad alta sensibilità.  Una forma di devozione, una pratica dell’attenzione che acuisce la percezione di attesa inscritta nell’origine.

L’essenza è nella mutazione sempre sfuggente, come un codice criptato, inaccessibile ma irrinunciabile, riconquistato attraverso un meditato esercizio. Una paziente iterazione, un empirismo che accoglie la ripetizione differente come evento e non come meccanismo.  

Configurazione di forze visive imperturbabili, quasi inafferrabili, tra dissolvenze, sovra-impressioni, sopravvivenze che slittano in nuove direzioni addizionando differenze. Una cartografia della sensibilità, una radiografia di endo-scheletri nascosti sotto la tela. Un sottofondo di linee di tensione affilate si inscrive nel territorio tra l’immagine e il suo doppio tra alternanze e raddoppiamenti e irradia la tela di tracce sottocutanee, di traspirazioni vitali, di turbamenti sottili.

Lo spazio non è mai sazio, tende ad assorbire il vuoto, ma richiede di essere sensibilizzato da segni, tensioni e torsioni tensioni per essere percepito insieme dalla vista e dal tatto, ad un occhio formato dalla prospettiva e arricchito dall’istinto tattile.

L’apparizione del segno dipende dal grado di resistenza, di opposizione del foglio. Il disegno in fondo serve a riconoscere e forse conciliare l’apparente contraddizione tra presenza ed assenza.

Sorveglianza e controllo del procedimento artistico di Castellani intervengono sulla composizione con un processo di sottrazione: un movimento in levare, sempre più alleggerito, diluito in un oceano di pazienza, distanziato nel Tempo dell’arte che non coincide con il Tempo della vita. Si può afferrare davvero solo ciò che non si è mai smesso di cercare. La linea non assomiglia al visibile, ma lo rende percepibile come soglia che permette l’apparizione del segno, della piega resa possibile dal grado di resistenza, di opposizione della superficie. L’opera in fondo serve a riconoscere e forse conciliare l’apparente contraddizione tra presenza ed assenza. 

Annidata nella vicinanza assoluta, nell’immanenza autoreferenziale della quadratura, risucchiata da un gioco di equivalenze geometriche immerse in un mare di sensibilità, la vita delle forme prende la direzione di una tensione subatomica, di una micro fisica infinitesimale, indice di rarefazione e sublimazione. 

Castellani riesce a ricomporre la dicotomia esprit de géométrieesprit de finesse, con una sintesi geometrica della sensibilità, dove la geometria ritorna ad appartenere al mondo della vita e delle sue pulsazioni vitali. 

Nell’interno più potente, fatto di forme simboliche perfette, ordinate e cristallizzate nella precisione congelata, sembra quasi non importare il Mondo, ma è solo una suggestione, perché proseguendo nell’attenzione veniamo raggiunti da richiami e sottintesi: anche da finestre sigillate può esalare la vita.  

Si scopre una vena di lucida follia catturati nelle trappole della trigonometria. Angoli di mondo e forme acute del pensare per triangoli. Abilità del piegare lo spazio sfuggendo alla ferrea dittatura dei teoremi. Quella di Castellani è una cartografia di tensioni del mondo assorta nella magica compostezza di forme pure assorte nella propria auto-evidenza. Tensioni e sovrapposizioni di piani, adiacenze, richiami tra forme, incroci e ribaltamenti, rincorrersi di volumi. Riverberi di spazi, simmetrie ingannatrici. Nel bianco senza sbiadire. Nel bianco senza sbagliare. Osando sfidare la dittatura del nero oltre il nero che non è un punto zero cromatico, ma piuttosto il punto di ascolto oltre l’apparente reticenza. Una paziente vedetta sul confine tra due mondi, capace di attendere. Il nero oltre nero è il confine tra vibrazione del colore ed immobilità del concetto: è omertà complice di una trascendenza silente, che chiede di specchiarsi nel buio.

Sull’orlo di un dirupo di millimetri, la ricerca di silenzi abissali si ritrova in ciò che è più vicino. Appartate nelle cose, stanno le relazioni segrete che si afferrano con la certezza di leggi assolute. Viaggi ai confini del percepibile, tra aporie dello spazio e geometrie allusive. 

Annidato tra avvallamenti e spessori si lascia intuire l’’ordine a-priori delle forme del mondo il puro scheletro semiotico sotteso alla tela, l’ordine a priori del Mondo, il sistema portante che consente il disvelarsi delle forme. Ogni retta è incisa nell’aria, ogni parallela è sospesa ad una verifica incerta sempre differita, contenuta in una intenzione più che in una possibile dimostrazione: ogni segno è un’eco di un pensiero già gettato in onde già riflesse.  Coesistenza di sottili inflessioni tra strisce e configurazioni, costellazioni di richiami e analogie formali tra giochi di affinità affacciate sui bordi. Una corrente di impulsi caricati di una indefinita tensione significante.

Occorre innescare aspettative di regolarità nei rapporti tra le forme per poi tradirle con un inatteso dettaglio dissonante. Come in quel gioco enigmistico che ci chiede di trovare il particolare mancante. Il dettaglio differente risulta nascosto grazie all’inerzia della nostra immagine della memoria che tende a ripetere senza ascoltare la semplice verità della percezione. La visione è innocenza e purezza di rapporti formali tra oggetti allo stato nascente che si offrono in un gioco di composizioni sempre varianti.

Le opere che sono architetture della mente, templi portatili. Icone polivalenti adatte per tutti i culti, prive di dogmi, ma ispirate dal culto della pura bellezza di idee platoniche. Una lentezza meditata di origami inesorabili nella precisione: pura felicità dell’astrazione di forme incastonate in se stesse, ripiegate sui propri confini.

Ontogenesi ortogonale tra riverberi, ombre di oggetti, apparenze di forme in sospensione, liberate dal dovere di contaminarsi nel mondo, nelle sue direttrici spezzate, irregolari, irrisolvibili. Onde quadrate nel mare interno della geometria. Una enclave euclidea in un mondo di simulazioni virtuali, antica solida e sicura come le geometrie antiche. Arte che procede per teoremi, passioni razionali ed assiomi da professare in composta solitudine. Non per inesattezze, ma per dimostrazioni e lucidi calcoli formali si raggiunge la bellezza dei rapporti definitivi oltre l’impressione vacua del mondo.

Uno spazio intensivo più che estensivo, determinato da una tensione significante avviluppata e potenziale più che da una intenzione, che mostra un modo di essere dello spazio, che rivela un modo di appartenere allo spazio per accumulazione di vicinanze, per orientamento e raccordo. Una spazialità apparentemente immobile e silente, ma che sottintende una linea di fuga, compresa tra spazi intermedi ingannevoli e sospetti, capaci di tradire le attese generando inatteso movimento di ripetizione differente.

Non si è nel mondo, ma si diviene nel mondo, per questo si cerca di sottrarsi alla metamorfosi avvolgendosi in una configurazione di forze visive protettive cercando la redenzione dentro l’ordine di regole euclidee apparentemente inflessibili. Piani sovrapposti e inter-superfici, spazi sottovuoto, dove il dramma è solo sospeso, dove il rapporto col mondo è solo rinviato.

Simmetrie nascoste e combinazioni di impulsi costruttivi non transitori. Spazi di prossimità. Incontri non casuali di linee protese oltre i vuoti e le forme latenti. Strategie di frammentazione e ricomposizione su campi di intensità differente. Estro-flessioni oltre il baricentro di volumi aggettanti sull’impossibile. Inserti di luce su sogni solidi.

Arrendersi alla forza di gravità interna dello spazio, all’attrazione tra forme addensate in una stessa atmosfera, cominciando a dirigere lo sguardo sui contorni, sui rapporti tra i confini, imparando a leggere le forme e soprattutto attraverso le forme.

Una clessidra posta in orizzontale incapace di innescare lo scorrere del tempo, vittima di un surplace permanente, eternamente in bilico sul tempo, intrappolata in un istante inceppato prima della caduta.

Una pratica dell’attenzione che acuisce la percezione di qualcosa che non esiste più, guidata da un centro immobile e nascosto, come una sonda nelle profondità riapparse sulla superficie. Disperdere la disattenzione è l’imperativo morale che il rigore stoico di Castellani lascia apparire nel metodo delle sue composizioni. Occorre prontezza ed ostinazione per sincronizzare l’incontro con il tempo ortogonale della bellezza dei rapporti necessari tra le forme, perché il miglior modo di accogliere il destino è dare un appuntamento nel silenzio.  Secondo la fisica epicurea, gli atomi nel vuoto cadono in linea retta,  ma possono anche deviare lungo una impercettibile diagonale: il clinamen. Così le forme, pur rispettando l’ortogonalità, a volte mostrano impercettibili deviazioni, che creano attrazioni tra le forme, innesti e nuove combinazioni di bellezza improvvisa e inattesa. 

Fenditure e rime d’ombra sembrano cercare la cassa di risonanza per amplificare silenzi significanti, protesi sull’apparente incessante continuità del tempo. Solo strumenti musicali interrotti oppure eccessivi permettono di ascoltare suoni inediti di ignota provenienza. Ci si chiede quanto manchi alla fine dell’inizio, quando davvero cominci a svanire l’ultima nota che continua nella visione mentale abbagliante del bianco. Linee di erranza, traiettorie, congiunzioni di piani, forme sospese in ore senza nome. Imponderabili, imperturbabili. Strade a doppio senso, senza direzioni prestabilite. Soglie al di qua e di là dalla forma.

Contumaciale elogio di una forma presente in assenza, evocata nell’evanescenza del bianco. Claustrale disciplina del ripiegamento di forme innestate in se stesse e concluse, alla ricerca dell’aura non che circonda, ma che è interna ai contorni delle cose. Il vero mistero in transito tra gli spazi, matura dentro se stesso, come una sonda nelle profondità e nelle possibilità dei vuoti che non si sfiorano tra loro. Quasi un gioco di variazioni significanti: abili alibi per sfuggire dal mondo mantenendo la fede nel quasi-niente glaciale e silente.

Una disciplina orientale della mente, una pratica di autocontrollo per camminare su una fune come un equilibrista del pensiero visivo. Sentieri nell’aria aggettanti sul vuoto, frequentando la vertigine della bellezza che sfida il punto zero della forma pronta a dissolversi nell’evasione sottile dalle cose.