Si veda, per cortesia, la spigolatura della settimana scorsa, Il cristianesimo, il sacro e la politica.
Sembrano esserci due modi fondamentali per tenere assieme una società o di fare politica: l’appartenere a qualcosa che trascende, ad una identità religiosa invocando il sacro, e similmente ad un pregiudizio antropico che si affida alla razza, alla sua purezza, o ad una lingua comune che giustifica la stessa appartenenza, oppure producendo e rappresentando un patto tra diversi che così mediano i reciproci interessi.
Nel primo caso la decisione, cioè il politico, si legittima in ciò che trascende (natura, divinità e persino altro…); nel secondo dipende dalla volontà di chi agisce avendo uno scopo qualsiasi esso sia, al di là quindi della relazione tra moralità condivisa e interesse singolo. Ne vale solo del suo specifico potere.
Nel primo caso colui che decide incarna la trascendenza, si identifica e si fa identificare (il re è inevitabilmente altro da sé, ha un corpo mortale e uno immortale perché trascende la propria stessa finitudine); nel secondo è semplicemente colui che ha l’occasione, caso per caso, potere per potere, di decidere e così tende alla disponibilità/mediazione e a ciò che chiamiamo oggi democrazia.
Nel primo caso politica e religione sono in analogia, se non in sintonia (il re è in potenza dio); nel secondo avviene la separazione tra religione e politica e si configura, lentamente, ciò che segnaliamo da tempo con la parola laicità (il sovrano decidente è in funzione di interessi).
Tra ciò che si fa religio (ciò che tiene assieme), la regalità, e ciò che si fa ragione (ciò che giustifica la decisione: il mondo chiamato usualmente laico), riemerge sempre e comunque il sacro nella sua terribilità e nella sua caparbietà metamorfica.
I due modi trascendente/immanente, religioso/laico, non riescono però a darci conto del politico.
Proviamo allora: che cosa è il politico?
Ecco dei percorsi, entro ma anche oltre il sacro:
è l’esercizio del potere;
è l’arte del governo;
è la possibilità della decisione;
è il controllo dei conflitti;
è la ridistribuzione dei beni pubblici;
è convincere e mobilitare;
è prefigurare il futuro;
è tracciare il possibile;
è costruire mondi possibili;
è rappresentare interessi:
………….
e, come direbbe Carl Schmitt,
é decidere tra amico e nemico;
è decidere dello stato di eccezione.
Di certo il politico, comunque lo si veda, è una disciplina senza soggetto e senza oggetto: senza soggetto perché anche quando si pone come dominio assoluto – la regalità sacralizzava – la decisione è giustificata da altro rispetto al soggetto decidente; e, anche se in modo totalmente diverso, lo stesso accade per le forme contemporanee di decisione del potere.
La domanda è: date queste premesse che cosa è la politica nel digitale? Di certo non ciò che abbiamo sempre pensato essere la politica o, meglio, il politico.
Leggi i precedenti appuntamenti:
Il cristianesimo, il sacro e la politica