E Visegrad visse d’arte e d’amor

 

Polonia

Il Pil è cresciuto a passo di carica anche nella rinata Polonia viaggiando intorno al 4,5% con salari in salita all’8% annuo e disoccupazione al 3,5%. Tutti sanno che i 106 miliardi di euro assegnati al Paese dalla Ue per il settennio 2014 – 2020 hanno contribuito in maniera significativa all’innalzamento del tenore di vita medio dei polacchi. Tuttavia anche qui vince un partito euroscettico, il Pis (Diritto e Giustizia) che, con il suo storico leader Jaroslaw Kaczynski, ottiene un buon 45,6%, tallonato, però, da una eterogenea coalizione di opposizione pro Europa che arriva al 38,3%. Notevole la partecipazione al voto, raddoppiata rispetto alle precedenti consultazioni e attestata sul 45%. Certamente il consenso tributato al Pis ha ragioni solide, quali il rafforzamento del welfare, l’innalzamento dei salari minimi, l’abbassamento dell’età pensionabile e l’incremento degli assegni familiari. I commentatori osservano che la vita politica nel Paese attraversa una fase di polarizzazione asimmetrica in cui si confrontano da un lato il Pis, estremamente coeso, e dall’altro una eterogenea alleanza di cinque forze politiche che includono al loro interno gruppi molto vicini alla Chiesa cattolica e formazioni aperte ai matrimoni fra omosessuali. Nella competizione elettorale, decisamente infuocata, ha fatto irruzione lo scandalo della pedofilia dei preti polacchi, amplificato da un film che ha fatto registrare diversi milioni di ascolti su YouTube. La Chiesa ha sempre svolto un ruolo importantissimo nell’opinione pubblica polacca, avendo preso le difese della popolazione durante i periodi di oppressione straniera. Era prevedibile che quanto accaduto divenisse un tassello centrale nella competizione elettorale. 

Kaczynski si è schierato apertamente in difesa della Chiesa, ottenendo l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche e dei preti di campagna. Ha rilasciato dichiarazioni del tipo «Non può esistere una Polonia senza la Chiesa», oppure «Chi alza il dito contro la Chiesa alza il dito contro la Polonia». È probabile che questa mossa sia stata vincente per il leader del Pis, che però in autunno dovrà affrontare ancora i suoi avversari nelle elezioni nazionali.

Anche il governo polacco è stato ammonito dall’Unione Europea: bisogna rispettare lo stato di diritto e il sistema democratico, se no si va fuori. Kaczynski insiste sul mantra della sovranità nazionale che non dovrà mai essere messa in discussione dall’Europa e si dichiara d’accordo con Orbán riguardo allo stop all’immigrazione islamica. Mateusz Morawiecki, primo ministro polacco subito dopo le elezioni ha elencato i punti sui quali, secondo lui, l’Unione dovrà lavorare per rafforzarsi e farsi accettare dagli europei. 

 

Secondo il premier polacco dal punto di vista economico bisogna dare maggiore forza alla lotta ai monopoli, soprattutto ai monopoli informatici, imponendo loro una equa tassazione e risolvendo il problema dei paradisi fiscali. Se si agisse diversamente si colpirebbe a morte la piccola iniziativa privata e l’innovazione tecnologica, danneggiando gli interessi dei cittadini. Bisogna anche lottare seriamente contro la disuguaglianza fra le classi sociali e fra i Paesi aderenti all’Unione. Con le politiche di austerità questo è impossibile e quindi sarà necessario un nuovo modello economico che sfrutti i bassissimi tassi di interesse per finanziare le attività produttive. La riduzione dell’Iva, per quanto costosa possa essere, incoraggerebbe gli  imprenditori e ridurrebbe i prezzi delle merci innescando un meccanismo che alla fine si rivelerebbe virtuoso. Inoltre Morawiecki attacca duramente la Commissione Europea e la accusa di governare l’Unione facendo scelte che la grande maggioranza dei parlamenti nazionali sicuramente non condividerebbe. Il Parlamento Europeo dovrebbe diventare un vero parlamento, cioè un organo legislativo le cui scelte siano esecutive e rispettino le ragioni dei singoli parlamenti nazionali. Ciascun Paese deve assumersi l’onere di difendere i propri confini da flussi migratori disordinati e destabilizzanti e la politica estera dell’Unione deve essere orientata verso il rafforzamento dei legami con la Nato, che ha assicurato la pace nel continente negli ultimi sessanta anni. Infine i politici di Bruxelles dovrebbero prestare maggiore attenzione ai popoli dell’Europa centrale e orientale, che, dopo avere sofferto l’inferno della seconda guerra mondiale, sono stati costretti a subire l’inclusione dei rispettivi Paesi nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica.