Nel monastero carmelitano che domina Budapest Viktor Orbán ha trasferito da poco il suo ufficio di primo ministro. Ovviamente questa insolita scelta non è casuale. Il carismatico leader ungherese, in barba alla laicità dello Stato e a ogni forma di dialogo interreligioso, sogna un’Ungheria e un’Europa saldamente fondate sui principi cristiani e chiuse a ogni influenza esterna. Al potere da molti anni con il suo partito Fidesz, sogna anche il ritorno a un’Europa delle nazioni di tipo ottocentesco che regolano i loro rapporti con diplomazia, trattati bilaterali, alleanze difensive comuni, ecc. Con una crescita del Pil che viaggia intorno al 5,3% Orbán si presenta come il campione di una nuova Europa che si è lasciata alle spalle il passato sovietico, ha riacquistato la sua piena sovranità e intende farla valere a tutti i livelli. Orbán non è ostile all’Europa per principio – forse per via di quei quattro miliardi di euro l’anno che da essa percepisce il suo Paese – ma ha convinto buona parte degli ungheresi che esiste un grande pericolo da fronteggiare. Si tratta di una specie di cospirazione internazionale che ha come scopo la «grande sostituzione» della popolazione europea bianca e cristiana con centinaia di milioni di migranti islamici. L’Europa è sotto assedio e l’organizzatore di questo mostruoso piano sarebbe il finanziere pentito George Soros di origini ebree.
Va d’accordo con Salvini quasi su tutto, ma non vuole che il suo Paese si prenda la sua quota di immigrati da ricollocare, come vorrebbe il leader della Lega e anche il Trattato di Dublino. Dal canto suo ha fatto chiudere le frontiere ungaro-serbe da 175 chilometri di filo spinato. La martellante propaganda governativa e la criminalizzazione degli oppositori per il momento sembra vincente. Bruxelles ha messo in guardia Orbán perché rispetti l’indipendenza della magistratura e la libertà d’opinione. Il Partito Popolare Europeo per adesso non lo ha espulso dal suo gruppo parlamentare, ma lo ha «sospeso» e lo tiene d’occhio con una troika di probiviri pronti a censurarne il pensiero e le azioni. Un compromesso fra la posizione dei belgi che lo vogliono fuori a tutti i costi e quella degli sloveni, che hanno minacciato la secessione dal PPE nel caso si prendesse questa decisione. Sotto elezioni non si poteva fare diversamente. Ora che ha vinto a mani basse le elezioni con una maggioranza assoluta del 52% circa, considerando la vittoria schiacciante dei partiti euroscettici in Polonia e in Italia si è posto il problema di come schierarsi nel parlamento europeo. Un rapido calcolo gli ha messo sotto gli occhi la situazione. Se si fosse formato un gruppo di ultradestra, esso avrebbe potuto contare su circa 58 rappresentanti che, nell’affollato parlamento di Bruxelles, sarebbero stati praticamente ininfluenti. Così il 30 maggio il portavoce di Orbán, Gergely Gulyás, parlando di Salvini ha dichiarato ufficialmente ai giornalisti: «Non vediamo come possibile una qualunque forma di cooperazione a livello di partito o nell’ambito di un gruppo parlamentare comune». Così, Orbán sembra avere deciso di sterzare bruscamente verso il centro e di rientrare a pieno titolo nel Ppe, dichiarandosi pronto a collaborare con chiunque si impegni a bloccare i flussi migratori verso l’Europa. Niente «ricollocamenti» di stranieri che arrivano in Grecia e in Italia e stop agli immigrati «non cristiani». Praga e Bratislava sono assolutamente d’accordo.