Due note sulla poesia Lupin di Aldo Gerbino

nella foto in bianco e nero si vede un uomo anziano che indossa una camicia a righe, con la mano destra poggiata sulla guancia destra
Nella foto: Aldo Gerbino (courtesy by Aldo Gerbino)

Aldo Gerbino è un poeta che smuove tutto: i pensieri, gli stati d’animo, i ricordi, le prospettive, le speranze, le “perverse nostalgie”. Questo, unitamente al mondo esterno, dalla “cicala tardiva tra i canneti zuccherini” al cosmo  noto  a Lupin, l’anziano cane lupo protagonista. Anche in questo caso, Gerbino dà via libera, con naturalezza e un linguaggio che gli appartiene profondamente, al suo umanismo. Un umanesimo lontano dagli artifici loici. La razionalità in lui si fa fedele e docile sostegno della sua spinta emotiva. E questa ne esce raffrenata e quietamente esplosiva, come se fosse implosione. Un pudore che richiederebbe sacrificio, se non fosse sorprendentemente alimentato da una cultura mediterranea antica e moderna divenuta “plenitudine biologica” ed espressiva. Pensieri, immagini, sentimenti, riferimenti colti (scienze naturali, ecc.) confluiscono in un unico terreno concettuale e poetico. In rapporto a ciascuno di questi elementi, sembra che la loro “ontogenesi” pulsionale si stemperi. In realtà, essa si arricchisce subito di un flusso “filogenetico” e polivalente  che diventa, a sua volta, il carattere dell’ontogenesi  della poesia di Gerbino. E allora intorno a Lupin gli arbusti, il gracidio di un anfibio, le fiammelle di Noctiluca Scintillans, l’incerto brillio di lattescenti nudibranchi si fondono col taciturno dolore, col folto pelame e con la bighellona orbita che è la casa di Lupin. Quasi si forma un clima di “De Rerum Natura” in cui si impone – non con sommovimenti, ma col regolare alternarsi di sistole e diastole – la forza del sentire  in tutte le sue umide ramificazioni. Il succo degli umori e del dire è denso e intenso, con colpi di icasticità. La familiarità di Gerbino con l’arte lo rende pittore e scultore nella poesia. Da far pensare ai “valori tattili” teorizzati da Bernard Berenson.

 

ALDO GERBINO

Lupin adagiato sull’erba

 

Lupin s’è abbandonato sull’erba. E l’erba gli fa da corona.

La testa grave, umanissima, regge tremule ampie pupille

rotanti in una plenitudine biologica, sotto un cosmo

a lui domestico, mentre un’ellisse imita le sue amate figure.

Lupin è un vecchio cane lupo: sporto alle soglie del Tirreno

stringe a sé l’interezza del mondo: fatti, persone, sentimenti,

irritazioni, gioie. Tutto gli appare nel volto dei suoi umani.

Bighellona, ciondolante, presso il rettangolo della piscina,

l’orbita è la sua casa; il silenzio che lo abita cola tra arbusti,

tra le dita di chi lo carezza. Continua il suo mestiere vibrando

col folto pelame, gravando penosamente sulle zampe anteriori

per poi trainare, con fatica, il dorso ancora ricolmo delle voci

dei camerlenghi, dei frammenti funerei di thòlos, di brume

bizantine, pietre fossili e mortali piaghe filtrate dalle tonnare.

 

Ristagna, comunque, un chiarore lunare sul suo capo,

mentre si protegge in una minuscola casa di legno,

al gracidio di un anfibio, nel secco rimbrotto

d’una cicala tardiva tra canneti zuccherini. Ho riconosciuto

anche mio, il suo taciturno dolore; come ogni pura creatura

condivide, ignara, l’ingordo peso dei giorni appenanti.

In tale sua inconsapevolezza vi riposa una sottile grazia:

un mutismo loquace, il pulviscolo viscoso della morte

confuso ad acque torrentizie, scoli, al respiro di rocce,

uccelli notturni, marine fiammelle di Noctiluca scintillans

fino all’incerto brillio di lattescenti nudibranchi,

chiocciole, perverse nostalgie.

Balestrate, fine agosto 2020

 ALDO GERBINO (Milano 1947), morfologo, già Ordinario di Istologia ed Embriologia nell’Università di Palermo, è Emerito della Società italiana di Biologia Sperimentale. Critico, autore per la RAI de Il tempo della terra (1985), dal suo lavoro poetico: Il coleottero di Jünger e Ingannando l’attesa (Novecento, 1995;1997); Non farà rumore (Spirali, 1998); Gessi (Sciascia-Scheiwiller, 1999); Il nuotatore incerto (Sciascia, 2002); Attraversare il Gobi (Spirali, 2006); Alla lettera erre, “Almanacco dello Specchio” (Mondadori, 2011); Comete mercuriali, piume (Algra, 2016); Non è tutto (Club di Milano~Spirali, 2018). Di saggistica: Presepi di Sicilia (Scheiwiller, 1998); Benvenuto Cellini (Spirali, 2006); Sicilia, poesia dei mille anni (Sciascia, 2001); Cammei (Pungitopo, 2015). Altri testi in: «Nuovi Argomenti», «Galleria», «Corriere della Sera», «Gradiva», «Poeti e Poesia», «Il sarto di Ulm».