Se il mondo è diventato una parodia come è possibile riderne? Opera impervia. Fatto che potrebbe spiegare la carenza di commedie rispetto al secolo scorso. Salvo che non si considerino commedie situazioni da buccia di banana e torte in faccia, figlie di un umorismo letterale mai allusivo, né assurdo paradossale. Un mondo senza senso del paradosso è un mondo che ha perso la capacità di guardarsi dal di fuori. Privati di senso del ridicolo si diventa tutti protagonisti inconsapevoli di sit-com quotidiane, interpreti melodrammatici senza più senso del tragico, unica via alla comicità.
Gli U.S.A. e il cinema della decadenza
Ma è proprio dal paese che dell’infantilismo ha fatto un credo sin dalle sue origini, gli U.S.A., che sta emergendo un cinema capace di fare i conti con la propria decadenza. L’esempio più recente è il film drammatico “Nomadland” (2020) di Chloé Zhao, un manifesto di denuncia contro il neo-schiavismo perpetrato dai giganti corporativi. Un altro esempio, solo apparentemente distante, è “Don’t Look Up” (2021), scritto e diretto da Adam McKay.
Non a caso è un comico a denunciare il mal costume di una società priva di una politica all’altezza di rovesci epocali. Già suoi i film “The Big Short” (“Il grande scoperto”) del 2015 su un gruppo di investitori a conoscenza della crisi in arrivo del 2007-2008, che gli valse l’oscar come migliore sceneggiatura non originale, e il film del 2018 “Vice – L’uomo nell’ombra” in cui racconta l’ascesa di un Dick Cheney inetto quanto fatale. Saper esprimere la decadenza di una società è segno che una cultura sa diventare sofisticata anziché perennemente letterale, capace di trasformare la gag in satira. Così avviene appunto per il film di McKay.
“Don’t Look Up”: un cast stellare
Con un cast di prim’ordine, il film non si dichiara commedia ma lo è, proprio come il tempo in cui viviamo. I personaggi sono comici senza saperlo, tutti, dalle comparse ai protagonisti. Così è da Meryl Streep nei panni di una Hillary Clinton presidente, descritta come una furbetta di quartiere schiava delle lobby della Silicon Valley, a Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence, due scienziati del Michigan che scoprono che una stella cometa sta per distruggere la terra e ne avvisano la Casa Bianca e i media.
Media asserviti non tanto al governo o alle lobby quanto allo spirito della gag come arma di distrazione di massa. In questo senso è regina della scena Cate Blanchett, la conduttrice del canale televisivo più seguito, che tratta la prossima catastrofe alla stregua di un una notizia da social fra un gossip e l’altro.
Blanchett riprende il ruolo della conduttrice televisiva già interpretato nel 2015 nell’opera video “Manifesto” (2015) dell’artista tedesco Julian Rosefeldt, una delle migliori prove dell’attrice, confermando la sua capacità di recitare spettri sociali ed emotivi molto difficili da sostenere sullo schermo, in questo caso impudenza, vanità e scherno. In “Don’t Look up” Di Caprio evita le frequenti enfasi che talvolta trasformano la sua recitazione in stile e rivela una sorprendente abilità nel giocare fra innocenza e sprovvedutezza. Su tutti brilla la terrificante (in senso anglosassone ma non solo) interpretazione dell’attore di teatro britannico Mark Rylance, premio oscar per “Il ponte delle spie” di Steven Spielberg del 2015, nelle vesti di un tycoon dell’hi-tech e della ricerca spaziale.
Il tycoon del XXI sec è il guru del futuro
Basch, con la sua corporazione, ha lo scopo di liberare gli esseri umani dallo stress della vita per sostituirvi quella virtuale, ed accompagnarli ad un transumanesimo che ha più del grottesco che del visionario. Il tycoon del XXI secolo marchiato Silicon Valley è un disadattato incapace di relazionarsi quanto geniale nell’imporre all’umanità un Eden virtuale corroborato dai suoi prodotti. Fra questi, i droni a suo avviso atti ad estrarre materie prime dalla cometa in arrivo e ad impedire la fine del mondo.
Un personaggio descritto impietosamente, un guru del futuro, il sorriso indelebile e gelido, che assoggetta il governo ai suoi desiderata. Il tutto all’insegna di una comicità che prevarica la consapevolezza dei personaggi, descritti come bambini al luna park che giocano con le certezze scientifiche trasformandole in slogan per social-network.
L’informazione come prodotto di consumo
E infatti “Don’t Look Up” è un j’accuse al mito dell’informazione che, se diffusa come gelati all’autogrill, resta mero consumo alla stregua di un talent-show. A cosa serve dire la verità se il modo in cui la diciamo non provoca le giuste conseguenze ma produce solo magliette, berrettini e gadget? L’isteria collettiva di una società, abituata a fotografarsi più che a leggere se stessa, renderà impotenti gli esseri umani. Sempre più abituati a venire guidati come bimbetti in fasce da chi promette caramelle. Il problema è che le caramelle questa volta non basteranno a saldare il conto con la realtà.
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Guarda il Trailer del Film:
https://www.youtube.com/watch?v=DhYXSqz8H-o