Teorie pacifiste e prassi politica non si incontrano nel mondo globalizzato
Il 10 dicembre si è celebrato retoricamente in tutto il mondo il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Le firme dei capi di stato su questa dichiarazione incominciarono ad allinearsi in fondo al documento il 4 Novembre di quell’anno fino a comprendere la maggioranza delle nazioni del pianeta. Oggi dovremmo chiederci con onestà se questa carta è stata onorata o no o in che misura.
Ci limitiamo a considerare solo il diritto più importante, cioè il diritto alla vita. Come al solito ci affidiamo ai numeri che non mentono mai. Nella Prima Guerra mondiale il rapporto fra vittime militari e vittime civili fu di 8 a 1, nella Seconda Guerra Mondiale fu di 5 a 5, nelle guerre del Terzo Millennio è di 1 a 8. Dunque il diritto alla vita di uomini, donne e bambini inermi e inoffensivi di fatto è sempre meno rispettato, in barba a qualunque principio. Quindi potremmo considerare la Carta dei Diritti dell’Uomo come una dichiarazione di intenti .. falliti.
Armi per le guerre? No, guerre per le armi.
Prima imputata è l’industria delle armi, ma, attenzione, i tempi sono cambiati. Nel Novecento si costruivano le armi per fare le guerre, oggi si fanno le guerre per costruire le armi. Una corporation che vende armi obbedisce all’unica logica che il mercato permette: massimizzare il profitto, incrementarlo di anno in anno. Ma c’è molto di più. I capitali di investimento che sostengono l’industria bellica e i profitti che se ne ricavano si spalmano su ambiti legali e illegali che nulla hanno a che fare con la guerra. Traffici di stupefacenti, tratta di schiavi, finanziamenti di partiti politici, fondi neri etc..
La differenza fra il passato e il presente è che prima la produzione bellica era un aspetto provvisorio della gestione economica dello Stato, oggi è una parte organica e stabile di esso. Non esistono quasi più le guerre fra Stati, ma uno stato di guerra generalizzato su vaste zone del pianeta, nelle quali si sviluppa un continuo e crescente commercio di armi. Insomma la guerra è globalizzata e siccome servono ragioni (cioè pretesti) per giustificare i conflitti si è recuperato il vecchio concetto di guerra giusta, cioè una specie di crociata laica permanente contro l’asse del male di turno. A noi le valutazioni.