Nessuno dubita che la più grossa sorpresa geopolitica dell’inizio del terzo millennio sia la pretesa della Cina di presentarsi come futura superpotenza planetaria. La Cina è un Paese governato in maniera autoritaria, con un regime monopartitico in cui qualunque forma di opposizione è illegale, e dove non vengono rispettati svariati diritti umani e civili. Malgrado ciò la sua prepotente crescita economica e militare influenza pesantemente il mondo, rappresentando uno scacco alla democrazia che non potrebbe essere più bruciante. Mentre i Paesi del cosiddetto “mondo libero” si dibattono con i propri problemi neocoloniali ed energetici, alimentando guerre devastanti, creando milioni di profughi, avanzando alla cieca e in ordine sparso tutti contro tutti, i leader cinesi hanno già tracciato la loro road map per i prossimi trent’anni e incominciano a percorrerla a ritmi impressionanti.
Dunque, le democrazie stanno per fallire? La modesta crescita dei nuovi partiti neofascisti e dei populismi non lo dimostra. Probabilmente i principi della democrazia non sono falliti, ma sono applicati in maniera inadeguata all’evoluzione delle società sviluppate.
In primo luogo la comunicazione politica. La colpa sarebbe dei social, che hanno sostituito i comizi e le tribune elettorali, in cui si enunciavano nei dettagli strategie politiche e provvedimenti sociali, invece che slogan ad effetto e parole d’ordine senza significato. Ma i social esistono e si nutrono dell’appagamento di cui godono i popoli occidentali riguardo ai loro bisogni primari e ai loro desideri. Bisogna accettare la sfida e combattere sul campo avverso. I social devono essere democratizzati, devono svolgere quella funzione insostituibile nelle democrazie che è la comunicazione, il confronto delle idee attraverso gruppi di lavoro, di gestione sociale, espressi dal basso, quartiere per quartiere, comune per comune. Ciò richiede un’educazione nuova – di cui la scuola dovrebbe farsi carico – che insegni agli utenti a operare distinzioni, raffronti, comparazioni tra le diverse fonti d’informazione, in modo che vengano selezionate le più attendibili. La propaganda, la polemica gratuita, la personalizzazione della politica devono essere combattute senza se e senza ma. Va chiarito che la politica serve a individuare vie di convergenza, compromessi, prospettive comuni.
La seconda fase toccherà alle vecchie assemblee parlamentari, nell’ottica della razionalizzazione delle risposte alle esigenze espresse nel dialogo informatico. Si tratta di un lavoro difficile, per il quale occorre una vera aristocrazia politica. Lo aveva già detto in tempi non sospetti Benedetto Croce, di fronte all’avanzata del fascismo, padre di tutti i populismi. Si dice che la crisi economica ha tolto credibilità alle democrazie. È ancora la scuola ad avere un ruolo chiave: formare il cittadino alle realtà nuove, alle attività lavorative qualificate, alle richieste del sistema produttivo. I profili professionali del XX secolo sono in buona parte obsoleti, a causa degli sviluppi tecnologici recenti, e la società deve tener dietro a tali sviluppi per evitare la disoccupazione di massa e il deterioramento del tenore di vita medio.
Infine, ma non per importanza, la pressione dei gruppi economici sulla politica. Uno stato democratico, o meglio neodemocratico, deve sentire il bisogno di stimolare chi ha il potere finanziario a contribuire nell’impegno contro le emergenze ambientali e il crescente aumento della forbice della disuguaglianza. Lo stato neodemocratico non può abdicare ai compiti essenziali di mantenere la pace sociale e garantire l’equità redistributiva. Se ciò sarà fatto, le democrazie saranno sostenute dalla gente. Diversamente, lasceranno spazio agli autoritarismi.