In Italia la classe dirigente politica e quella economica mantengono un atteggiamento ambiguo verso l’Euro. C’è chi vuole tenere la porta socchiusa per un’eventuale uscita dalla moneta europea. Chi si impegna nei regolamenti comunitari parzialmente e con dure trattative, finisce col coltivare una sostanziale infedeltà all’Europa. Il risultato è un gioco degli specchi. Gli Italiani non percepiscono quello che gli altri cittadini europei pensano di loro e delle loro scelte e ritengono di avere diritto a una eccezionalità agli altri non gradita. Giocano anche altri elementi. La burocrazia dell’Unione Europea gestisce un bilancio il cui finanziamento proviene non da entrate fiscali proprie ma dai contributi degli stati aderenti. I burocrati europei vorrebbero un cospicuo aumento pronto cassa non volendo incorrere nei dispiaceri della tassazione in prima persona. Un passaggio doloroso che è rimesso agli stati nazionali.
I Paesi dell’Unione, negli ultimi dieci anni, si sono riallineati per perseguire i propri interessi. Vi è uno schieramento di Paesi particolarmente attenti all’elusione fiscale. Sono quelli della cosiddetta Nuova Lega Anseatica (Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Svezia, Baltici e Irlanda), presi a modello anche da Cipro e Malta. Questi ultimi due Paesi del Mediterraneo, infatti, imitano quelli che si affacciano affacciati sul Baltico, sul mare del Nord e sul canale della Manica (Gran Bretagna e relativi opt out). Vi sono poi altri Paesi – Polonia, Ungheria – che finanziano la delocalizzazione delle aziende con i fondi europei, e ciò in accordo con le aziende che hanno sede nei Paesi fondatori.
Altri Stati si sono riallineati per fronteggiare un diverso pericolo in agguato: emigrazione e immigrazione. La Convenzione di Dublino ha scaricato centinaia di migliaia di migranti sui Paesi mediterranei più esposti. Tutta gente per lo più senza alcuna istruzione e qualifica lavorativa, cosa che ha comportato gravissimi problemi di integrazione. È accaduto anche alla Germania, stato forte e fondatore della UE, di trovarsi dalla parte sbagliata dei riallineamenti di interessi. Angela Merkel è stata accusata di incompetenza da tutti gli organi di stampa. Quando scoppiano guerre, e queste si prolungano nel tempo, i movimenti di popolazioni che fuggono dalle sofferenze sono la regola. Un milione di profughi nel 2015 e una crescita elettorale fino al 10 % del partito nazionalista AFD sono stati una parte del duro prezzo pagato dalla CDU e CSU, i due partiti democristiani tedeschi. Pochi anni prima, la classe dirigente germanica aveva dimostrato eccezionale prontezza nel gestire gli accordi della moneta unica. C’era voluto molto poco per capire che l’unica reale e veloce opzione capace di ristabilire la competitività dell’economia era quella di pianificare a freddo una spietata deflazione fiscale. L’ideatore è stato Gerard Schroeder, cancelliere e uomo di grande spessore intellettuale, che, dopo aver così provocato una crisi industriale e fiscale gravissima negli altri Paesi dell’area Euro, ha poi condotto una politica estera eterodossa legando la Germania ai rifornimenti energetici dalla Russia.
La lista delle passeggiate in libertà che i Paesi aderenti all’eurozona si sono concesse potrebbe continuare. Ma per l’Italia l’uscita dalla moneta unica, viste le interconnessioni, legami, rapporti instauratisi con alcuni Paesi nell’arco di cinquant’anni e con altri in quello di trenta, sarebbe molto costosa, se non disastrosa. Si aggiunga il saldo della contabilità Target 2, pari a circa un quarto del debito pubblico italiano. Tutto debito accumulato con la Germania a causa dei saldi negativi della nostra bilancia dei pagamenti. Uscire dall’Euro unilateralmente non conviene proprio all‘Italia. Ma nel frattempo la classe dirigente italiana dovrebbe fare due operazioni verità. Intanto, riconoscere che l’ingente debito pubblico nella sua stragrande parte è stato accumulato per costruire il welfare state italiano. La Germania aveva incominciato a dotarsene dalla fine dell’Ottocento. L’Italia l’ha fatto a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso quando si era prossimi a una guerra civile strisciante. Quindi quasi cento anni dopo la Germania. Poi c’è da dire che l’Italia non ha diritto a nessun trattamento eccezionale. Il suo debito pubblico deve rientrare nella norma, sotto il cento per cento del prodotto interno lordo.
Negli anni ottanta, l’Italia era la sesta potenza industriale. Ora non è nemmeno fra le prime dieci; è diventata un Paese medio, se non medio piccolo, molto fragile sia dal punto di vista economico che sociale. Un cambio di prospettiva verso L’Europa è necessario. L’UE deve essere vista dagli italiani come occasione di crescita civile ed economica, e inoltre come luogo dove si tessono accordi talvolta favorevoli, talvolta sfavorevoli. E resta inteso che, in caso di passività evidente, si torna al tavolo, senza complessi di inferiorità. E si rinegozia il negoziabile. Insomma, un’Europa lontana da quella dei padri fondatori.