Mentre procede con vigore la battaglia ideologica dei tanti agit-prop di una danza contemporanea contaminata con altre arti e altre discipline, ibridandola, innestandola, negandola nell’anti-danza, per conquistare un pubblico digiuno di arte del corpo, ma incline alla performance, alle visual arts e al nuovo circo, un’altra linea culturale forte si è affermata ormai da un decennio, mostrando come è l’arte del corpo che può insegnare molto a chi agisce e studia in altri campi.
La danza parla, si dà voce e illumina altre zone del sapere umano senza più remore, ma anzi con una specifica capacità di descrivere, spiegare, chiarire cosa succede nel corpo-mente durante il processo di creazione coreografica, ma non solo in questo ambito. Lo sa fare con elementi di conoscenza complessi, utili agli scienziati cognitivi, agli antropologi, ai ricercatori digitali, che del resto hanno offerto alla danza modi nuovi di concepirla, memorizzarla e rappresentarla.
Legittimare la danza, da arte per il divertimento dell’élite a serio strumento di conoscenza psico-fisica e filosofica è un lungo cammino in corso che conta ormai su capitoli e tappe significativi.
Choreographic Objects è stato il frutto condiviso, tra il 2010 e il 2013, di un’analisi critica, tra danza e tecnologia, condotta tra gli altri da coreografi di primissimo piano come l’inglese Wayne McGregor, l’italiano Emio Greco con l’olandese Peter Scholten, e dall’americano William Forsythe, il quale ha chiarito da tempo che danza e coreografia possono andare separate e che la danza è di tutti, mentre la coreografia, come disegno di movimento nello spazio e nel tempo, specialistico, può riguardare persone o cose o immagini.
McGregor, che ama preparare i suoi lavori con medici e scienziati, esemplifica live la sua maniera di comunicare al pubblico le idee che impiega per costruire “frasi di danza”. Quanto a Forsythe, il suo approccio si colloca tra anatomia, tecniche trasformative e writing demonstration, riflettendo-operando su schemi spaziali e linee di movimento, punti, superfici e angoli.
Secondo Emio Greco si tratta di “rendere il corpo disponibile al processo creativo”, visto nei suoi tratti “pre-coreografici”.
All’impulso di Forsythe, allora installato a Francoforte, si deve però anzitutto il CD-Rom multimediale del 1999 Improvisation Technologies. A tool for the analytical dance eye, una raccolta di strumenti per creare e pensare il corpo danzante.
Da lì nacque la creazione Sider (2011) costruita giocando con le parole scritte su grandi cartoni, che i danzatori spostavano continuamente in scena, come “oggetti linguistici coreografici” funzionali a una logica verbale-cinetica tesa tra caos e cosmos.
Il software Piecemaker a scopi anche educativi, con digital score on-line, è sulla piattaforma Motion Bank, che ospita anche I contributi di altri coreo-creatori come l’americana postmodern Deborah Hay e l’inglese Jonathan Burrows con il partner musicista italiano Matteo Fargion.
Nel 2016 Dino Audino Editore ha pubblicato Choreographic Bodies di Letizia Gioia Monda, appunto sull’esperienza della Motion Bank come progetto multidisciplinare fertilissimo per la body knowledge, là dove si tratta di embodiment di concetti e di corpo come score.
Già dieci anni fa il libro+DVD Tanztechniken /Tanzplan Deutschland, a cura di Ingo Diehl e Friedericke Lampert, raccoglieva in modalità interattiva classi, propositi, coreografie, interviste, di una decina di maestri, portatori di differenti linee di insegnamento di alto lignaggio modern, Humphrey-Limón, Merce Cunningham (pioniere nell’uso del video e poi del computer dove scrisse e al tempo stesso memorizzò le sue coreografie con il software Life Forms sperimentando poi anche la motion capture e l’immagine virtuale), Jooss-Leeder, Release, Counter technique (influenzata da Forsythe), nate tra Europa e Stati Uniti, e filtrate dall’esperienza personale.
Al centro dell’attenzione sono le pratiche somatiche, sia artistiche sia accademiche, e le estetiche nei vari contesti performativi, guardando ai metodi e alle implicazioni teoriche. Non mancano i contributi sulle politiche di Audience Development (un obiettivo “per avvicinare tra loro le persone, le arti e la cultura” che la Commissione Europea indicò tra i più rilevanti nel 2012 con i bandi Creative Europe, indetti dall’anno seguente) e Audience Engagement, e sul valore sociale e partecipativo della danza, tra expertise compositiva ed empirismo, procedure di scrittura drammaturgica e improvvisazione, performance, azioni site-specific e teatro.