Che siamo in una delle “zone rosse” o in una qualunque altra parte dell’Italia, tutti in questo periodo dobbiamo far fronte a un cambiamento nei nostri stili di vita. “Evitare abbracci e strette di mano” e mantenere nei contatti sociali “una distanza interpersonale di almeno un metro”. Sono alcune delle misure igieniche anti-Coronavirus contenute nel Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) firmato il 4 marzo e in vigore in tutta Italia fino al 3 aprile 2020.
Di primo acchito, questa “distanza imposta” nel contatto con le altre persone potrebbe rivelarsi, se non un sollievo, quantomeno un curioso esperimento sociale. Si pensi ai luoghi normalmente sovraffollati come i mezzi pubblici. Eppure non è tutt’oro quel che luccica. La distanza interpersonale fa parte del linguaggio non verbale, ossia quello del nostro corpo, attraverso cui comunichiamo più di quanto non facciamo con le parole.
Secondo la classificazione fatta dall’antropologo americano Edward Hall (morto nel 2009), il metro di distanza rientra nell’ambito della “distanza personale”, quella cioè che si adotta con amici e persone con cui si ha un rapporto di confidenza. Ciò nonostante, si tratta di una distanza estremamente difficile da mantenere al bar, in metropolitana o in un qualunque contesto urbano.
In una situazione di “distanza imposta” ci si rende conto improvvisamente del valore di gesti dati per scontato e antichi quanto l’uomo.
Consideriamo la stretta di mano. Si tratta di un rituale millenario, praticato anche all’epoca degli antichi egizi, per i quali questo gesto esprimeva il raggiungimento di un accordo. Nella nostra cultura stringere la mano a una persona ha assunto diverse valenze: di presentazione, saluto, ringraziamento, congratulazioni. E in generale, di accoglienza e apertura nei confronti dell’altro. Un gesto tanto codificato che rinunciarvi non è banale.
Per questo, l’OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) ha divulgato, tramite il popolare social network Tik Tok, un elenco delle modalità di saluto alternative in periodo Coronavirus: dal tradizionale ondeggiamento delle mani allo sfioramento tra gomiti, dal namastè indiano a mani giunte, alla stretta tra piedi (footshake) che sta diventando virale sul web.
L’attenzione da parte di una grande organizzazione come l’OMS e il fatto che essa si sia preoccupata di dettare delle linee guida in materia di saluti evidenzia l’importanza di un gesto fisico che nessuna telefonata o audio WhatsApp può sostituire. Aristotele diceva che l’uomo è un animale sociale, e lo psicologo americano Abraham Maslow, nella piramide dei bisogni (da lui elaborata alla metà degli anni ’50 del secolo passato), ha inserito il bisogno di socialità e appartenenza subito dopo i bisogni fondamentali come quelli fisiologici e di sicurezza.
Per questo, modificare le nostre abitudini sociali non è banale. E allora ben venga la creatività: quella del saluto con il piede, ma anche quella di chi, al confine della zona rossa di Codogno, ha addirittura “sfruttato” la camionetta della polizia come linea di mezzeria di un campo da baseball. Lo hanno fatto Marco e Filippo, amici e compagni di squadra impossibilitati a fare allenamento insieme perché divisi dalla linea di confine. È qui che i due ragazzi si sono dati appuntamento telefonico e, circondati da un piccolo pubblico improvvisato, si sono messi a palleggiare. Un modo alternativo per non rinunciare a un’occasione di socialità quale è un allenamento sportivo e mantenere una quotidianità nonostante l’emergenza.
Il web ci permette di fare quasi tutto: informarci, fare la spesa, acquistare vestiti, pagare bollette, chattare con gli altri. Ma non ci consente di stringere la mano a qualcuno né di fare una partita sportiva. L’emergenza è uno spunto per rifletterci su. D’altronde, essere “privati” della normalità è forse uno dei pochi modi per apprezzarla davvero.