Coronavirus spesa, pizza e farina.
In questi giorni di quarantena obbligata per la maggior parte degli italiani, con file chilometriche davanti ai supermercati, pare che il bene di consumo più venduto sia la farina. Italia pizza, pasta e mandolino, tutti chef e musicisti (nonché allenatori almeno fino a quando il campionato di calcio non è sospeso). Chi più, chi meno, ognuno sta infatti mostrando in questi giorni, tra le mura domestiche, che per qualcuno sono una gabbia d’oro, tutte le sue doti culinarie, doti ritenute sempre più cool…almeno a giudicare dall’abnorme quantità di post e storie social dedicate a questa o quella ricetta, quasi quante quelle dedicate alle canzoni sui balconi: da Volare a Felicità.
Ebbene la nostra spesa in tempi di coronavirus, la nostra pizza homemade, ma così come il bicchiere di vino con un panino, li dobbiamo ad una filiera, quella alimentare, che nel nostro Paese è di un’efficienza totale, diremmo tedesca. Se pensiamo infatti che in queste ore, abbandonata la teoria dell’immunità di gregge, i nostri ormai neo-extra-comunitari amici inglesi stanno facendo carte false per trovare cibo nei loro stores, in Italia invece gli alimenti e i beni di prima necessità non mancano mai. Perché? Semplice, perché li produciamo noi! Se infatti in gran parte dell’Europa l’economia finanziaria domina, in Italia resiste una certa economia reale fatta di produzione di cose, che siano cibo o strumenti musicali, oppure gli amplificatori che, non si sa come, stanno emergendo da tutti gli scantinati delle nostre città. Basti pensare che nel mondo, in media, se il valore dell’economia finanziaria è 4, il valore di quella reale, cioè non virtuale, è 1.
In questo quadro l’economia reale è quella che ci permette di fare la spesa anche con il coronavirus. Letteralmente ci fa mangiare: la pizza e la pasta la facciamo in casa perché nelle stesse ore in cui state leggendo, nonostante tante voci contro di chi vorrebbe chiudere tutto, le industrie alimentari e quelle agricole stanno facendo il loro dovere, così come tutti coloro impegnati nella logistica (dagli autotrasportatori, “eroi” mai abbastanza celebrati, fino agli scaricatori e magazzinieri della Grande Distribuzione Organizzata, per non parlare dei riders e di chi ci porta sotto il naso, o, pardon, almeno a un metro dal naso). In questo momento, come confermano diversi dossier di Federalimentare, nessuna azienda del cibo, sia industriali che agricole, è ferma in Italia. E le scorte di beni alimentari che abbiamo accumulato nel tempo basteranno per almeno due/tre mesi. Ma anche per il futuro dovremmo stare tranquilli: gran parte delle nostre imprese esportano all’estero ma, concentrando l’offerta tra i nostri confini, l’Italia è pressoché autosufficiente dal punto di vista del cibo.
Tutto questo sarà possibile nonostante i leoni da tastiera, o “masterchef” improvvisati, continuino a chiedere di chiudere tutto. A loro basterebbe replicare, magari durante la digestione, che la filiera del cibo in Italia rappresenta il 25% del nostro PIL, ossia quasi 550 miliardi di valore, con un export in costante crescita, almeno del 3-4% annuo, anche grazie al successo di… Expo 2015 e alle certificazioni di qualità che i nostri prodotti hanno ricevuto e che vanno sempre più difese rispetto a tanti spregevoli contraffattori. In Italia nella filiera alimentare lavorano quasi 4 milioni di persone, che meritano soltanto di essere ringraziati.
E mentre a Roma una circolare dei Vigili (tutto vero!) vieta ai fornai di fare la pizza con la mozzarella, dovendosi limitare alla sola pummarola, con Zerocalcare che ordina la “pizza stoc@..o”, tutti gli italiani si sentono un po’ artisti del forno, un modo come pochi altri per esprimere tutta la nostra creatività, perché mentre facciamo la fila ai supermercati, pochi minuti del nostro tempo per poter svolgere in tutta sicurezza da coronavirus la nostra spesa, c’è una filiera che sta lavorando a pieno ritmo per noi. Non di solo pane vive l’Italia in quarantena, ma di chi lo produce, lo cucina, ce lo porta. Forse in questi giorni capiremo ancora di più “quanto sa di sale lo pane altrui…”