Il dopo Kant significa che l’uomo appare come quell’animale che si qualifica in quanto tale perché consumatore e produttore di superfluità in una condizione si dirà superumana. Ciò che lo definisce o che lo rappresenta è allora un prodotto singolare chiamato opera d’arte non solo per propria natura superfluo, legato ad una finalità senza scopo (appunto Kant), ma anche indefinibile, macchina che trascende continuamente la propria stessa condizione di esistenza, destinata a produrre costantemente la propria iper affermazione e la propria negazione. Si dirà macchina celibe. L‘opera d’arte occuperà lo spazio dell’ evento. Così anche anche nella accezione heidegeriana.
Il massimo della umanità sarà allora la produzione del massimo della superfluità dove i valori vengono continuamente rinviati …. mera idolatria. (che si impongono negandosi). Adorno potrà così affermare che ogni vera opera per essere tale dovrà uccidere tutte le altre, passate, presenti … lasciando così aperto il futuro, meglio il possibile. Il moderno si conferma così occupazione del possibile, qualcuno dirà volontà di potenza e volontà di volontà. E’ così che non c’è arte senza storia dell’arte.
L’Idealismo come peraltro (anche se in modo diverso) il romanticismo porteranno i trascendentali, impliciti nella bellezza della tradizione classica, verso l’opera d’arte consegnandoli nelle mani del Genio cioè di un singolo soggetto dotato di capacità eccezionali così diverso da tutti gli altri uomini da renderli sostanzialmente equivalenti. Le capacità del Genio evocano l’universalità ma abitano la personalità, la singolarità. Il suo compito è, come scrive Kant, quello di dare le regole all’arte mediandole dalla natura stessa per poi consegnarle ad un altro soggetto geniale che avrà il compito di superarle. Il suo talento appartiene alla natura. E’ come se l’assoluto da trascendentale si trasformasse in immanenza incarnandosi nella figura del Genio. Per Schelling l’arte del Genio è la suprema forma del sapere capace di cogliere spontaneamente l’Assoluto nella sua unità differenziata di natura e spirito. Per Schopenhauer il Genio è la direzione oggettiva dello Spirito. Certo ci saranno posizioni in quel particolare contesto storico e sociale come, ad esempio, quella di Hegel che considerava l’opera del Genio animata dalla immaginazione e dalla spontaneità come romantiche fantasticherie visto che solo le competenze tecniche e un bagaglio di esperienze ed emozioni intellettualmente governate rendono, secondo Hegel, l’opera veramente artistica.
Rimane il fatto che là dove ci si ritrova a definire il bello anche Hegel si ritrova a misurarsi con il bello oggettivo e a interrogarsi sul suo rapporto con la soggettività. Scrive “Il bello si definisce come l’apparizione sensibile dell’idea. Bellezza e verità sono la stessa cosa. Si distinguono solo perché mentre nella verità l’idea ha la sua manifestazione oggettiva e universale, nel bello ha la sua manifestazione sensibile” (Lezioni di estetica). Quella determinazione sensibile non è altro che la percezione soggettiva. Il sensibile sta nella natura stessa del soggetto. Il trascendentale ovviamente non ha sensibilità, non percepisce: é o non é. Il sensibile è in fondo la storia stessa o, se vogliamo, la storia è composta e prodotta dalla infinità dei sensibili. Questa è la dialettica hegeliana e l’insieme di storia e ontologia.
Anche posizioni come quella di Stendhal fanno emergere lo spostamento del bello verso il bello soggettivo. Scrive Stendhal: la bellezza è una promessa di felicità. Pur mantenendo un orizzonte trascendente, visto che la felicità può essere interpretata come un universale, di fatto fa riferimento ad una modalità percettiva (fenomenica) che non può che appartenere che alla soggettività, ad un eudemonismo estetico vissuto da un soggetto nella sua specifica singolarità: prima di essere felici insieme non possiamo che essere felici singolarmente.
In sintesi la provocazione è la seguente: per tutto il mondo antico classico nella cultura occidentale, sino all’Umanesimo, prevale l’idea del bello oggettivo, dall’Umanesimo in poi il soggetto pretende un ruolo determinante sino al momento in cui afferma il proprio predominio a partire da ciò che chiamiamo il Contemporaneo, cioè dalla Rivoluzione Francese in poi, cioè dal momento nel quale si impone un nuovo soggetto politico: la massa. Ciò che va pensato è questo coincidere tra soggettivismo e massificazione.
Qui emerge l’idolatria dell’arte e separatamente l’idolatria della scienza come sorelle nemiche, metafisiche rivali. Ma là dove possono coesistere due verità conflittuali, ciò che perde di senso è lo stesso orizzonte metafisico. Tutto ciò che accade, e non solo per le scienze o per le arti, è segnato comunque da questa crisi alla quale si risponde in diversi modi. Segnalo, per esemplificare, due modi estremi: rifondare la metafisica, Hegel, o imparare a fare surf sulle onde dell’immane crisi, Nietzsche. Paradossalmente da allora gli estremi finiscono per toccarsi. Sempre per ridurre al fenomenico, sia per l’arte che per la scienza, accade che vengano interpretate e vissute come ciò che separatamente possono salvarci o possono perderci, possono portare alla salvezza o alla distruzione finale. Questo è particolarmente significativo per l’ideologia (idolatria) della tecnica. Ancora oggi c’è chi si affida e chi diffida profondamente della tecnica.
Anche attorno al bello emergono posizioni contrapposte, in particolare verso la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento: da una parte Fëdor Dostoevskij, per il quale solo la bellezza potrà salvarci, e, dall’altra, Rainer Maria Rilke che nelle sue Duinesi, scrive “… il bello è solamente la prima nota del Tremendo. E dato di sostenerlo e di ammirarlo è a noi solo perché non cura di annientarci”. Posizioni chiaramente antitetiche, che meriterebbero uno spazio ben maggiore per l’interpretazione. La prima comunque ha come orizzonte l’unità garantita dalla religione, pur nelle umanissime depravazioni e gli inevitabili conflitti con il male; l’altra separa il sacro da qualsiasi giustificazione religiosa o lo pone al di là di ogni possibile spiegazione. E così il bello non consola, non ha alcuna possibilità di consolare, anzi!, è il tremendo. Ciò che andrebbe valutato è la non coincidenza tra il sacro e il religioso. E in Rilke questo è dato per assodato visto che il sacro ha l’aspetto del tremendo che non può di certo caratterizzare la re- ligio: ciò che tiene assieme.