È dalla mitologia che ci arriva la storia della temuta Circe, figlia di Helios e Perseide, la reietta della famiglia e allontanata dalla cerchia delle divinità.
Circe è un po’ donna e un po’ dea. Nella Grotta delle Capre del Monte Circeo (bellissima località sul litorale laziale da dove parte il Golfo di Gaeta) attira alcuni navigatori erranti. Con i suoi poteri magici cattura Ulisse e il suo esercito e trasforma tutti gli uomini in porci. Ma di Ulisse diventa anche amante e, nell’anno di prigionia in cui tiene i malcapitati, pare dia un figlio allo sposo di Penelope.
Si dice che il suo profilo sia stato fissato sulle pareti del monte Circeo. Sulla temuta strega, maga, ammaliante e enigmatica Circe, si è scritto molto e a lei si sono ispirate molte opere presenti lo scorso anno alla mostra OdisSea curata da Fabio D’Achille e realizzata nella splendida cornice dell’Oasi naturalistica del lago di Paola a Sabaudia. Tuttavia, poco si è visto a teatro. A rimediare ci pensa ora la Compagnia Corrado d’Elia che produce un’opera dal titolo Circe, la prima di un progetto pluriennale battezzato Cantiere Circe.
Il progetto, l’idea, la regia e l’interpretazione sono di Chiara Salvucci, già nel ruolo di Hazel in Mercurio e presente in molti altri lavori della Compagnia. La drammaturgia è del collettivo Cantiere Circe di cui fanno parte, oltre alla Salvucci, i giovani Antonio Donato Colombo, aiuto alla regia, Silvia Civran e Marta Passero per la scenografia, Francesca Brancaccio per le luci.
Questa volta la Salvucci è sola sul palco e sua è la firma di gran parte del lavoro. La Circe di Chiara Salvucci è un essere ibrido, inconsapevole della propria natura e in cerca della propria identità. Un po’ donna e un po’ divinità, mescola le doti che la natura le concede cercando un equilibrio fra le essenze che la compongono, alla ricerca di se stessa. Diventata sufficientemente adulta, si rende conto delle catene che la legano allo stereotipo richiesto a una dea.
Ma, messa da parte dalla famiglia, Circe decide di liberarsi dei vincoli sociali e divini per costruire il proprio destino. Diventa figlia della Natura e, in simbiosi con essa, cresce in completa solitudine. Diventa lei stessa Natura e a questa sua condizione si ispira la Salvucci per il costume di scena. Circe vive tra la flora e la fauna senza mai dimenticare il proprio lato umano, il suo essere donna libera, fatto che sulla scena è ben evocato dalle calzature indossate da Chiara Salvucci.
La storia con Ulisse è ai margini della narrazione. Infatti la drammaturgia, siglata dal Collettivo Cantiere Circe con la supervisione di Corrado d’Elia, si concentra sulla misconosciuta identità della solitaria dea e donna. Circe non è l’ammaliante incantatrice che attraverso poteri magici attrae, seduce, imprigiona e poi libera gli uomini. È piuttosto un essere fagocitato da un’ingombrante famiglia, che rifiuterà, per scegliere una strada impervia. Un percorso di crescita in salita, ma libero da costrizioni e imposizioni. Una vera rivoluzione nell’interpretazione di un mito considerato da sempre perfido, brutale, privo di morale e di etica.
Circe/Salvucci è densa di etica e senso morale e crede nella giustizia e nel sentimento. La propria etica che le impone di ricordare quanta sofferenza le è stata inflitta come donna – a moltissime donne – e ricorrere alle divine tisane di erbe per “colpire” l’uomo arrogante e colonizzatore.
Un monito che, in tempi di discriminazioni di genere, divenute ormai cronaca quotidiana, vale la pena di leggere fra le righe. Un monito che è significativamente rappresentato da quelle calzature rosse indossate, al momento giusto, da Circe sul palco.
Lo spettacolo è denso, come la nebbia che avvolge il palco e la bellissima scena. Circe tutto è tranne che strega, amante, incantatrice, puttana (parole/immagini che ritroviamo nello spettacolo). Una donna che è nel verde dei suoi anni, un verde come la speranza, come le fronde di un albero sul quale cinguettano gli uccellini. Fronde che immaginiamo allargarsi e trasformare Circe in una Gorgone cefalopode, nell’ibrido che è.
La regia di Chiara Salvucci è assolutamente priva di incrinature, l’interpretazione è pulita ed essenziale e conferisce solidità al bellissimo testo. Le luci sono efficacemente posizionate e ben dosate nell’intensità e nei giochi cromatici. All’insegna dell’evocazione: le scene e il commento musicale/sonoro.
Una menzione particolare va al luogo, la Sala della Cavallerizza del Teatro Litta di Milano, una perfetta “grotta” con mattoni a vista per un’affascinante Circe in pantaloni.
Circe con Chiara Salvucci
progetto, scene e regia Chiara Salvucci
drammaturgia Cantiere Circe
aiuto regia Angelo Donato Colombo
assistenti scenografia Silvia Civran e Marta Passero
tecnico luci Francesca Brancaccio
produzione Compagnia Corrado d’Elia
organizzazione Afra de Santi
Teatro Litta, Sala della Cavallerizza, fino al 14 maggio 2023