Un tempo a queste domande la risposta era scontata. Chi parlava era l’oratore, il politico, l’artista, chi ascoltava era il pubblico, il fedele, il sognatore. Il primo mirava a convincere, destare ammirazione, commuovere. Il secondo si abbandonava alle parole o alle immagini, assorbendone il significato, studiandone la logica. Questo legame tra chi parlava o scriveva e chi ascoltava o leggeva era fortissimo. Esso si basava sui tempi dell’una o dell’altra esperienza, sulla attivazione della memoria, su una corrispondenza di un comune sentire.
Oggi questo legame si è allentato, e la responsabilità di questa perdita è dovuta al trionfo della tecnica. Un minuscolo telefonino può trasmettere qualunque discorso, politico, sociale o culturale, la cui istantaneità è però pagata dalla sua brevità- Tutta la cultura e la capacità di socialità del nostro tempo restano spesso racchiuse in poche frasi, in poche parole, addirittura in qualche pupazzetto che sorride o fa il broncio per trasmettere un’accettazione o una rinuncia. Perfino il concetto di menzogna, che un tempo si ergeva come protezione dinanzi alle insidie del pensiero, si propone oggi come una antiverità che reclama la propria innocenza. Ciò che conta è comunicare.
Ogni messaggio culturale paga la sua conquista della universalità con la sua universale diffusione, che ne spezza il legame con la ragione ordinatrice e lo abbandona a un pensiero sfilacciato e pieno di insidie. Ciò mette in ballo un ormai antico capovolgimento culturale, vale a dire il definitivo predominio della tecnica sulla scienza, che ha tolto il valore all’approfondito sapere per trasformarlo in un concitato fare. Tutto quello che la scienza metodicamente affrontava e risolveva, la tecnica sbroglia sul piano dell’utilità immediata.
Che fare? La domanda, antica e sempre incalzante, presuppone una risposta drastica, ancorché dubbiosa. Il rapporto tra la scienza e la tecnica, un tempo regolato da precise disposizioni gerarchiche, si è capovolto bruscamente. Il passaggio dal soggetto dominatore (l’“io penso” cartesiano) all’oggetto predominante (l’”io possiedo” mercantile), ha riportato il pensiero sulle cose, distruggendone però la capacità di distinzione fra esse. Per di più i due estremi si toccano. Questa è epoca della ibridazione, della mescolanza tra alto e basso, dove l’opera, così come viene presentata a un pubblico indifferente, risulta a un tempo unica e ripetibile, d’eccezione o di massa.
Per superare questa secca, in cui la cultura e l’anticultura sembrano affondare tenendosi per mano, bisognerà allora avere la forza e l’astuzia di riportarle entrambe sullo stesso livello, facendo della scienza un modello da seguire e della tecnica un cardine di comportamento, attribuendo alla prima un valore simbolico e alla seconda un valore di scambio. Con l’intesa, però, che le reciproche posizioni possano scambiarsi, dando alla scienza un carattere popolare e alla tecnica un valore più alto. Certo, il successo dell’operazione va contrattato ogni volta, giorno per giorno. Ma almeno qualche cosa, all’orizzonte, si muoverà.