La Casa della Cultura ha 75 anni, un incontro col direttore Ferruccio Capelli

La Casa della Cultura ha 75 anni, un incontro col direttore Ferruccio Capelli
Nella foto: Ferruccio Capelli, da quindici anni direttore della Casa della Cultura di Milano. Courtesy: Feruccio Capelli

La Casa della Cultura è da parecchi decenni domiciliata a Milano, in via Borgogna. Quindi, ad ogni tornata elettorale, ha votato puntualmente nel capoluogo lombardo. Ha votato nel senso di essere stata sempre votata alle sorti della sinistra: e in generale più che di un partito specifico. Inoltre, agli inizi, lo ha fatto con lo spirito di un forte dialogo con posizioni diverse nel comune terreno che fece seguito alla chiusura del secondo conflitto mondiale.

Oggi la storica e radicata Casa della Cultura è altrettanto impegnata in una sorta di condizione postbellica. E  non si tratta solo della pandemia Covid. Entrano in gioco, infatti, anche problematiche sociali che precedono, e non di poco. Questo a cominciare dalla crisi delle ideologie e dall’estensione globale delle emergenze di ogni tipo, non ultime quelle ambientali e migratorie.

Pensiero e azione: da Rossana Rossanda a oggi

Ferruccio Capelli ne è il direttore da circa 20 anni. Tra lui e Salvatore Veca si stabilisce uno stretto sodalizio di pensiero e di azione, dalla nomina del filosofo a presidente della Casa della Cultura (dal 2014 alla sua scomparsa, l’anno scorso). Capelli ha messo a fuoco un progetto articolato quale catalizzatore di una rinnovata e nuova linfa per l’istituzione milanese, cucendo il glorioso passato, da Antonio Banfi, il fondatore (nel 1946, assieme a Elio Vittorini ed Eugenio Curiel), alla Rossana Rossanda (presidente per una decina d’anni a partire dal 1951).

Questo fil rouge ha avuto una solida ed efficace enfasi col seminario Contraddizione donna. La rivoluzione più lunga”. È stato dedicato alla Rossanda, nel marzo scorso (in streaming: un esempio dell’impegno incessante del direttore Capelli pur nel clima pandemico). Insomma, un modo concreto, emotivo e proiettivo per celebrare i 75 anni dalla nascita della Casa della Cultura.

Ferruccio Capelli, la direzione della Casa della Cultura e la Scuola di Cultura Politica

Ma su questo e altro sentiamo la voce pacata decisa ed entusiastica di Ferruccio Capelli il quale peraltro nel 2015 ha pubblicato “La porta rossa: 70 anni di Casa della Cultura tra storia e storie”. In prima linea sul fronte della sinistra sin da ragazzo, oltre ad animare la Casa della Cultura da direttore (da alcuni anni ha avviato la Scuola di Cultura Politica, corsi formativi di successo), ha dato i suoi contributi alla cultura sociale come formatore professionista e uomo di pensiero con al suo attivo diverse pubblicazioni di riferimento, tra cui “Il futuro addosso”, Guerini, e Associati, 2018, “La formazione (è) umanistica”, Unicopli 2012, “Indignarsi è giusto”, Mimesis, 2012, e “Sinistra light. Populismo mediatico e silenzio delle idee”, Guerini e Associati, 2008.

 

Settantacinque anni di attività. E una bella storia.

Parte  ufficialmente col discorso inaugurale che Ferruccio Parri, ex-Presidente del Consiglio, tiene il 16 marzo 1946. Uno splendido discorso, espressione dello slancio che c’era subito dopo la resistenza, tutto votato alla ricostruzione morale e sociale del Paese. Periodo anche di grande ambizione, specie dopo la liberazione di Milano del 25 aprile del ’45.

Antonio Banfi, assieme a Elio Vittorini e Eugenio Curiel si incontrarono in clandestinità per stilare un documento votato alla rinascita culturale del Paese.

Poi protagonisti veri furono anche i nuovi intellettuali di scuola banfiana, come Paci, Cantoni, Preti Anceschi, o Dino Formaggio. Essi provocarono un fronte milanese del rinnovamento della cultura e della politica, all’insegna del razionalismo critico. Ciò in parallelo al fronte meridionale, segnatamente romano, ad impronta storicistica, Croce in testa.

La Casa della Cultura ha 75 anni, un incontro col direttore Ferruccio Capelli
Nella foto: Ferruccio Parri, discorso inaugurale alla Casa della Cultura nella sua prima sede in via Filodrammatici (Milano, 16 marzo 1946)

In aggiunta, la scuola milanese dava il contributo del pensiero scientifico, grazie a Ludovico Geymonat il quale portava nella cultura qualcosa che Croce aveva cancellato (ma del filosofo abruzzese mi piacciono molto i suoi grandi testi di storia). Insomma, un processo di straordinaria innovazione con personaggi di grande caratura. Un luogo fisico degli incontri e confronti: la Casa della Cultura. Già essa si era affermata quando fu attiva nella sua prima sede, accanto alla Scala, in via Filodrammatici. Questo fino al ’48, quando il ministero degli Interni, retto da Mario Scelba, la sfrattò. Ma seguì un grande gesto della sorella di Eugenio Curiel (che era stato ucciso nel febbraio ’45). Lei, assieme al marito (famiglia Usiglio), donò la cantina del suo negozio. Tutto in omaggio alla resistenza. Ed eccoci allo scantinato di via Borgogna 3 che richiamò intellettuali variamente impegnati e appassionati, come Elio Vittorini e Cesare Musatti che portò il contributo della psicanalisi. E poi la già ricordata scuola di Antonio Banfi.

Mi piace aggiungere che Musatti contribuì davvero a svecchiare la cultura italiana e, non meno, il pensiero italiano e, inoltre, che poco si sa dei suoi contributi nel mondo visivo, specie della percezione visiva. Assieme ai primi allievi dell’Accademia di Belle Arti Naba (inizi Ottanta), sono testimone di sue memorabili lezioni-conferenze su quei temi.

Ne ho sentito parlare per la prima volta in un convegno, in una relazione dedicata al suo apporto col visivo. Ho scoperto questa cosa proprio in quell’occasione.

Quando e come la Casa della Cultura riparte, dopo avere chiuso i battenti nel ’48?

Ci fu un vuoto di due anni circa. Poi la ripresa nel 1951, grazie appunto alla disponibilità dello scantinato. E con nuovi e decisivi slanci. Soprattutto da parte di Rossana Rossanda la quale, pur giovanissima (27 anni), ne assume la direzione.

Nel ricordarla, lei ne parla come di una voce che continua ad ispirare la Casa della Cultura.

Da direttrice, Rossana ebbe subito una chiarissima visione politica e di gestione, pensando tra l’altro a Milano come epicentro di rinnovamento nell’incontro tra cultura e politica. Questo fece vigilando puntualmente ed efficacemente sull’opportuno contenimento delle tensioni interne alla sinistra per evitarne la lacerazione. Lo stesso Vittorini secondo il racconto del nostro presidente onorario Fulvio Papi – ancora pochi giorni prima della morte, pur stanco ed emaciato e pur avendo preso posizioni politiche tutte sue, fu presente alla Casa della Cultura a proposito della quale aveva detto trattarsi del “Politecnico” parlato, quest’ultimo essendo, a quel punto, la Casa della Cultura scritta. Una presenza viva nell’effervescente clima milanese in cui c’era anche la scuola del realismo e in cui artisti letterati giornalisti si incontravano al bar Giamaica, in Brera, come Fontana e Manzoni, o in cui Alfonso Gatto dedicava poesie a Eugenio Curiel. Ad ogni modo, allora come oggi, la Casa della Cultura supera il settarismo, è progressista, si pone come luogo di libero confronto e di ricerca rigorosa sulle grandi questioni.

Come di fatto è praticato questo confronto?

Confronto come interazione fra le varie posizioni culturali e politiche. Con l’attenzione alla cultura dell’emancipazione, principio che va oltre la generica libertà. Giorno per giorno, agitiamo queste tematiche e le molte altre connesse, come l’ambiente. L’ho fatto assieme a Salvatore Veca per tanti anni e adesso metto a frutto i risultati di quei dialoghi e confronti con lui durati tanti anni, da quando nel 2006 gli chiesi di svolgere la lectio per il 60° della Casa della Cultura. Insomma, delle buone premesse per l’oggi e oltre.

Da direttore riceve una bella eredità, insomma, tra Rossanda e Veca. Come ha sentito, oltre che concepito, l’idea di sinistra light (alludo ovviamente al suo libro). Se preferisce: come vive questo alleggerimento e come – semmai questo accada – lo concilia col background di queste premesse? C’è forse la mediazione ancora in atto del razionalismo critico di Banfi?

Il titolo stesso, “Sinistra light”, evoca una lettura preoccupata delle tendenze prevalse a sinistra. Un indebolimento. Come se la sinistra avesse perso per strada qualcosa. Ad iniziare da un preciso ancoraggio ideale e culturale. Da qui l’idea che pervade la nostra attività di contribuire a riscrivere la cultura politica, i fondamenti culturali della sinistra.

Intanto, l’idea di fondo è di andare ben oltre gli specialismi che caratterizzano la vita accademica. Inoltre – certamente –   facilitare la spinta allo sguardo critico a tutto tondo. E con queste attenzioni ragionare sul futuro. In ogni caso, sulla scia di Rossanda, continuiamo a far dialogare gli esponenti della sinistra col mondo laico e cattolico e, non meno – adesso, come allora – ad andare oltre l’isolamento politico e culturale, il conformismo e le ideologie rigide. E puntiamo, quando fosse necessario e utile, a trovare momento di forte coesione nelle circostanze in cui ci fossero in ballo tematiche capitali. In passato questo accadde con l’invasione dell’Ungheria, nel 1956. In quell’occasione Rossana fu capace di far partire dalla Casa della Cultura un forte messaggio di condanna. Seppe inoltre captare i vari umori che serpeggiavano, riuscendo a gestire bene le cose, in piena guerra fredda. Fu la stagione più importante della sua vita, dice qualcuno. La casa della cultura: il suo capolavoro. Lei riuscì a fare emergere un’idea di innovazione culturale a largo raggio. La genialità di Rossanda fu impiegata anche nell’evitare lacerazioni interne, anche quando  – come ricordato – Vittorini ruppe col PCI, nel ‘48. Non solo una grande storia, ma è quello che noi cerchiamo di fare oggi.

Il titolo di un suo libro del 2008 è conciso e diretto: Sinistra light. Il sottotitolo  sintetizza un aspetto centrale della condizione odierna: Populismo mediatico e silenzio delle idee. A questo proposito, che fare?

Continuiamo a prendere atto di questa lacerazione…

Che forse è diventata anche dissipazione…

Sono d’accordo: dissipazione.

Le prospettive?

Mettere la dovuta attenzione, senza semplificare, in tempi di migrazioni globali, al confronto continuo con tutte le culture. Alla Casa della Cultura Tzvetan Todorov ha lasciato un bel segno sui temi contenuti nel suo “La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà”. Libero confronto ben oltre l’intrattenimento. Lo intendiamo invece come ricerca teorica e discussione rigorosa sulle grandi questioni, proprio in tempi di WhatsApp e social media. Sì, una nicchia culturale all’insegna del rigore culturale, con risposte serie e profonde. Per esempio, come riuscire a far rivivere le passioni politiche.

Convivenza?

No,  confronto e coesione. Far discutere e emergere le culture che dovrebbero animare i soggetti politici. Confronto e interazione fra le varie posizioni culturali e politiche. Certo, il liberalismo, che è attento al valore della libertà. Ma bisogna andare oltre: alla cultura dell’emancipazione, e poi la cultura ambientale. Giorno dopo giorno, con Salvatore Veca, abbiamo ragionato su queste tematiche. Unire i progressisti, sulla base di questo confronto. Proprio questo è stato il senso del dialogo tra me e il filosofo. Egli si definiva liberale di sinistra, ma ha considerato con attenzione la problematica dell’emancipazione e dell’ambiente come elementi necessari per animare la cultura e la vita pubblica, come premesse importanti sia per l’oggi che per il futuro.

Progetti interessanti e non poco impegnativi: una  bella responsabilità.

Impegnativi molto, c’è da lavorare e agire molto e anche molto da pensare, con un filo rosso  tra la Casa della Cultura dei tempi di Banfi e Rossanda e questo progetto che io e Veca abbiamo costruito in questi anni. Un impegno complesso perché non abbiamo riferimenti certi e solidi. Ma ne vale la pena, è molto stimolante. È certamente una situazione unica nel panorama generale, capace di sorprendere, coinvolgere di strappare apprezzamenti.

Questo progetto punta anche a rendere meno light la sinistra? O che altro? 

Ovviamente, nel 2008, ho parlato di sinistra light con una punta di amarezza. E intanto la sinistra è diventata sempre più light. Può essere di aiuto il nostro sforzo di andare oltre gli specialismi scientifici, per far coesistere questi specialismi con un pensiero critico e profondo, capace di agire a tutto tondo, a pieno campo. Con la possibilità, anche, di ragionare sul futuro che sembra scappare di mano.

Come si collegano la Casa della Cultura e questo progetto con l’universo digitale?

In modo pieno. Da qualche anno abbiamo affrontato l’esigenza di una rivoluzione nei metodi e nell’organizzazione in rapporto alla comunicazione digitale e al suo impatto cognitivo ed estetico. Abbiamo fatto nostra l’idea di una “Casa della Cultura on life”, capace di unire il virtuale e il reale. Continuiamo ad occuparci a fondo delle implicazioni culturali del digitale: con Roberto Diodato e Ruggero Eugeni, abbiamo realizzato cicli di incontri su I miti della contemporaneità, Il digitale e l’estetica, ecc.

Insomma, la Casa della Cultura vive anche nella rete (oltre due milioni di persone hanno contattato il nostro canale YouTube ). Dall’antica sede di via Borgogna alla rete, col sistema dei social. Ci lavoriamo da cinque anni, con risultati anche brillanti, pur in pieno covid. Tra metà febbraio e i primi di marzo 2020 siamo riusciti a trasferire tutta la nostra attività in rete rispettando il programma e ampliando il nostro pubblico! La rete e il sistema mediatico sono così esplosivi che si rischia di disperdere la sostanza del sistema culturale, ma noi cerchiamo di usarli per farvi vivere una nicchia che  salvaguardi la sostanza della ricerca e della proposta culturale.

Come reagiscono i giovani?

Questo è il problema più grosso. In  anni lontani erano molto presenti alla Casa della Cultura. In questo senso, ricordo il successo delle lezioni sul Capitale tenute, presenti tantissimi giovani, da Rodolfo Banfi, economista e figlio di Antonio. Ricordo anche le lezioni sulla Resistenza che richiamarono tanti giovani al punto che fu necessario trasferirle al Lirico. Anche in tempi recenti, inizi del Duemila, abbiamo realizzato incontri sul No Global intercettando centinaia di ragazzi. Ma in 20 anni il sistema è cambiato tantissimo. Oggi i giovani li catturiamo in Rete. Su Facebook troviamo che la maggior parte dei nostri likers sono giovani, dai 24 ai 44 anni.

Siamo ancora al silenzio delle idee o qualcosa comincia a farsi sentire?

Questa domanda è molto interessante. Stiamo entrando in una situazione nuova. Da qualche tempo tornano in campo testi pesanti sulla crisi del liberalismo dopo il 2008:  i testi di Thomas Piketty (due grandi lavori: “Il capitale nel XXI secolo” e “Capitale e ideologia”); “Lo stato innovatore” di Mariana Mazzucato; o ancora, “Il liberalismo inclusivo” di Michele Salvati (e Norberto Dilmore). Dunque i grandi testi tornano. Ed è importante che queste tematiche centrali siano trattate in grandi testi seri e rigorosi. Qualcosa che va oltre le pubblicazioni sulle riviste universitarie di terza fascia, indispensabili per i giovani studiosi o ricercatori che devono fare concorsi, ma da cui non viene un contributo al pensiero critico.

La Casa della Cultura a fronte di una Milano post elettorale. A suo avviso questa idea della sinistra può essere favorita?

Speriamo, col tanto di prudenza che la vita ci ha insegnato. Comunque, meglio che abbiano vinto questi che…altri

Si vedrà se e fino a che punto la governance terrà conto delle istanze sociali ed etiche proprie di una vera sinistra, no?

Certo, ci si potrebbe anche chiedere dove stia la sinistra. L’importante ad ogni modo è che ognuno cerchi di fare il proprio mestiere, mettendo il proprio tassello. Qui abbiamo questo lungo percorso alle spalle, e quindi lavoriamo sul lungo termine, puntando a costruire l’impalcatura culturale che serve.

Come va la rivista Borgogna 3?

Ne siamo molto orgogliosi. In generale puntiamo a trasmettere nella rivista quella parte del nostro lavoro che ha particolari caratteri di originalità. Trova dei numeri pesanti, mirati a dar conto di come si sia trasformata la vita culturale.

Privilegiate un orientamento monografico in ogni caso, vero?

Certamente. Ma, con l‘assillo micidiale dei finanziamenti: qualche volta la situazione è da brivido. Abbiamo la coscienza a posto, abbiamo adottato la linea della sobrietà assoluta; se no, non potremmo sopravvivere. Come valori: idee e comportamento sobrio, appunto. Anche questa è una lezione di Rossanda: con pochi soldi, diceva, si possono fare grandi cose. È la nostra filosofia.

Finanziamenti pubblici?

Praticamente no. Bisogna inseguire i bandi.

Pare che la Scuola di Cultura Politica da lei progettata goda di ottima salute.

Continua ad essere  un nostro motivo di orgoglio. Dodicesimo anno (dopo due anni di preparazione). Un mare di iscritti (una bella fonte di introito, anche) a cui il Covid ha dato una brutta botta,  dimezzandoli. Ma abbiamo tenuto tutto attivo e vivo, adottando la formula mista (smart e presenza). Ero molto preoccupato sugli esiti. Invece sta funzionando. Particolarmente con talune lezioni sul dopo covid.

Scuola di Cultura Politica. Vale a dire?

Formare i frequentanti alla presenza attiva nella vita pubblica, talora qualcuno si candida pure, oppure volontariato o attivismo nei partiti. Ma anche formazione pratica, lavorativa: come redigere i comunicati stampa, ad esempio, o usare i social. Ma ovviamente molto di più, cioè conoscere il mondo e il mondo della cultura. La politica esiste se cerchi di capire il mondo. Insomma, una scuola di cultura politica.

 

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