“Californie” è il primo film di finzione dei registi documentaristi Alessandro Cassigoli (documentarista per Arte TV) e Casey Kauffman (giornalista per Al Jazeera e World Food Programme), che ne sono anche sceneggiatori insieme a Vanessa Picciarelli. Vincitore a Venezia per “Le giornate degli autori 2021”, Premio BNL per la migliore sceneggiatura e del Prix Interprétation ad Annecy Cinéma Italien 2021, il film segue i documentari realizzati dai due registi “The Things We Keep” del 2017 e “Butterfly” del 2018, quest’ultimo vincitore del Globo d’oro come miglior film documentario italiano dell’anno.
Documentario o film
Ricercandolo su Google, il film risulta come documentario. Questo rende la questione interessante. Cosa trasforma un documentario in un film? Lo stesso elemento che determina il flop di un film trasformato in un documentario. Ossia in una vicenda senza storia. E allora la domanda incalza: cosa fa di una vicenda una storia? Una risposta potrebbe forse essere quella che vale per ogni struttura narrativa: il cambiamento del personaggio dall’inizio alla fine. Con questo metro di misura si potrebbero bollare molti film.
Gli equivoci del cinema italiano dal Neorealismo
Pesa infatti, su un certo cinema nostrano, il malinteso dell’eredità del Neorealismo, per cui spesso si pensa che filmare un tinello sia sufficiente per un tema ben svolto. Non fu così il Neorealismo e Pasolini resta più moderno che mai, perché intese bene come le storie di strada non nascono da una trama ma dalle facce. “Accattone” senza la faccia e il vissuto di Sergio Citti non avrebbe dato luogo al film.
“Californie” e il suo volto
Anche “Californie” nasce da un volto, quello dell’attrice Khadija Jaafari. Il film segue la crescita della bambina fino all’adolescenza a Torre Annunziata, nell’hinterland napoletano, ed è stato girato durante cinque anni. L’attrice venne reperita per caso durante le riprese del documentario “Butterfly” sulla vita della campionessa di pugilato Irma Testa (visibile su Raiplay). La presenza scenica di Jaafari ispirò i due registi a tal punto che i due cominciarono ad avere l’idea del film basandolo sull’identità di quel volto.
Una piccola meraviglia
Investigando con cautela e delicatezza sul vissuto della ragazzina e sulla sua iniziazione alla vita, come forse è ogni storia, è nata una piccola meraviglia. Che ricorda il bellissimo film “L’intervallo”, diretto nel 2012 da Leonardo Di Costanzo, protagonisti due adolescenti. Anche “Californie” è asciutto e impeccabile da tutti i punti di vista, fatto di riprese anti-retoriche, senza panorami ambientali, per lo più spazi visivi quotidiani e mentali della protagonista, costumi perfetti (scelti dai registi con l’attrice). Eccellente la colonna sonora di Giorgio Giampà, centellinata nei momenti determinanti dal saggio montaggio del suono di Giuseppe D’Amato.
Californie, tanti sogni
La storia si racconta da sé, vivendola. La protagonista è una bambina marocchina emigrata a Napoli. Non così piccola da poter dimenticare il suo paese e non così adulta da rimpiangerlo non appena trova una propria collocazione – a suo sentire -socialmente adeguata. “Californie” non è un francesismo ma il nome dell’insegna del parrucchiere dove la ragazza trova le aspirazioni che non trova a scuola. La storpiatura ortografica del titolo/insegna è dovuta alla svista della ditta che la consegna così. Una metafora che potrebbe significare che del sogno per antonomasia, la “California Dreaming” cantata negli anni ’60, ce n’è uno buono per ciascuno. E quindi le Californie sono tante.
Una adolescente in cerca della propria strada
Il film ha come soggettiva quella della ragazzina in cerca di un suo spazio nella realtà di Torre Annunziata, che pure nel degrado sociale ed economico ha una sua poesia asciutta, guardata con gli occhi di una bambina a ridosso dell’adolescenza, alla fine uguale per tutti. Il sogno di Jamila (questo il nome della protagonista) viene interrotto da quella che appare una struttura scollata dalla realtà, lo Stato. A scuola le lezioni sono lontane anni luce dalle possibilità della scolara, come la voce fuori campo di una maestra, più o meno indifferente, che delega a incomprensibili libri di testo la formazione degli adolescenti.
Quando Jamila trova una parvenza di riconoscimento nel negozio di parrucchiera di Jasmine – interpretata vividamente da Marilena Amato, parrucchiera nella vita (tutti gli attori, a parte un paio di comparse, sono non professionisti che interpretano loro stessi) – ecco che arriva, calato dall’alto, l’assistente sociale. E l’esito del suo intervento sarà il peggioramento della situazione di Jamila.
Destini interrotti ma non ineluttabili
Il film ha infatti una fine apparentemente lieve, in realtà amara. Le istituzioni portano Jamila fuori dalla sua California. Ma ciò che l’aspetta è un percorso tracciato più dall’approssimazione della burocrazia che da un destino ineluttabile. Poiché ritratta di una storia, il finale è diverso dalla vita vera della protagonista, tornata al liceo dopo le riprese grazie al film. E riprendendo, inoltre, il suo amato pugilato. Speriamo che Khadija Jaafari trovi nel proprio presente la sua Californie, e che i due registi scoprano altri volti da raccontarci.
Leggi anche: ANGELA MARIA PIGA – “Un eroe” di Farhādi, tra buono e cattivo