Normalmente non ci si fa molto caso: alla Biennale Arte di Venezia, visitabile fino al 24 novembre, troviamo i padiglioni di Cina, Stati Uniti, Australia, India, ma non il Padiglione Europa. Ci sono i singoli Stati, certamente tutti di grande valore, ma questa molteplicità di presenze in qualche modo ci ripropone un problema storico vissuto in Italia in altri tempi. Intendiamo riferirci alla situazione della penisola nel 500, quando le singole città erano Stati con una ricchezza economica e culturale tale che era impossibile pensare a una nazione che le unificasse politicamente. Analogamente oggi abbiamo Stati con una storia troppo complessa per pensare di mettere d’accordo tutti senza che ciascuno di essi faccia valere forza economica, superiorità culturale o volontà di affermare la propria visione del mondo. Ma proviamo a pensare a un Padiglione Europa, citando come se fossero in un unico grande Padiglione tutti gli Stati presenti in ordine sparso.
Avremmo l’Italia, la padrona di casa, con tre artisti, Enrico David, Liliana Moro, Chiara Fumai, disposti in un labirinto che può dire bene delle difficoltà in cui ci troviamo. E non importa che siano tre, perché avrebbero potuto essere di più: l’idea di Milovan Farronato, curatore del Padiglione Italia, esprime “l’impossibilità di ridurre l’esistenza a un insieme di traiettorie pulite e prevedibili”. E poi ci sono gli altri 27. Per l’Austria Renate Bertlmann, con Discordo ergo sum, mette in risalto soprattutto le contraddizioni dell’esistenza con la bellissima installazione delle rose-coltelli. Con il Mondo Cane dei manichini belgi ci chiede se il mondo è quello degli artigiani o dei rifiuti della società rappresentati in maniera così goffa. Per la Bulgaria gli artisti Rada Boukova e Lazar Lyutakov riflettono sul concetto di tradizioni artigianali secolari, contrapposte alla produzione industriale su vasta scala dei contemporanei prodotti standard.
La repubblica Ceca e la Slovacchia puntano su un artista storico, Stanislav Kolibal, che rappresenta la loro vicenda dell’astrattismo. Il film di fantascienza In Vitro di Larissa Sansour, per la Danimarca, ci proietta in un mondo in cui tutto è possibile. Cipro partecipa ricordando il 50° anniversario della morte dell’artista Savva, un pioniere dell’arte contemporanea cipriota. Nel 1968, fu tra i sei artisti che rappresentarono il loro Paese nella sua prima partecipazione ufficiale alla Biennale di Venezia. La Croazia presenta un progetto, essenzialmente documentaristico, di Igor Grubi, Traces of Disappearing (In Three Acts, 2006-2019). Sono tre reportage fotografici interconnessi e un film di animazione, che intendono rappresentare la realtà post-bellica e il passaggio cruciale della Croazia dal socialismo al capitalismo: Wild House, Filigree Sidewalk, Deconstruction of the Factory, e il cortometraggio animato How Steel was Tempered. I Finlandesi con A Greater Miracle of Perception mostrano di credere nei miracoli, come quello di una transnazionalità dei Sami, popolo stanziato tra Norvegia, Svezia, Finlandia, e Russia.
Il progetto più immaginifico è quello francese che ha, al suo centro, la figura del polpo di Laure Prouvost e Martha Kirszenbaum. Con nove cervelli, otto dei quali posti nei tentacoli, il polipo può sentire e pensare con essi in maniera simultanea. Per niente rassicurante, se non catastrofista, la visione tedesca con una diga monumentale in cui da una falla fuoriesce una sostanza liquida. Nel Padiglione della Gran Bretagna si torna alla quotidianità, anche se sconcertante. Non a caso forse il lavoro dell’artista invitata, Cathy Wilkes, è “Untitled”. Si cammina in bilico su bicchieri di vetro con la Grecia e per l’Irlanda Eva Rothschild ragiona su precarietà, cambiamenti ambientali e instabilità politica con sculture che creano un ambiente coinvolgente e immersivo. In Lettonia luce e simultaneità. Saules Suns è un paesaggio multicentrico che si sviluppa intorno a diversi soli, diverse fonti di luce: una scena di diverse albe cosmologiche.