Sicuramente è stato uno dei filosofi di punta fra quelli che non hanno condannato la tecnica. La riteneva connaturata all’esperienza umana e parte dell’episteme. Bernard Stiegler ci ha lasciato nei giorni scorsi, dopo una vita intensa e avventurosa, fatta inizialmente di rapine e carcere, lo aveva avvicinato ad un sentimento comune, mal digerito da filosofi e intellettuali. Infatti, quasi tutti i filosofi (tra i quali Marx, Nietzsche, Heidegger, Severino), seguiti dalla maggioranza degli intellettuali, hanno considerato la tecnica tra i peggiori dei mali dell’uomo, auspicando spesso un ritorno alla natura, ai suoi principi e alle sue dinamiche.
Ma perché questa diffidenza generalizzata per le innovazioni tecnologiche? Penso che la resistenza abbia tre ragioni: 1) la naturale tendenza conservativa degli esseri umani, che temendo per la propria esistenza, sono portati a soppesare i pro e i contro di ogni innovazione, prima di accettarla; 2) la paura dei potenti di perdere in tutto o in parte il loro potere, soprattutto in un periodo storico di predominio dell’idea politica democratica; 3) la difficoltà della cultura di rimettersi continuamente in discussione, vista le continue rivoluzioni socio-economiche-culturali che la tecnica produce.
Delle tre motivazioni sopra riportate, le prime due (sociologica e politica) sono le meno problematiche, perché le dinamiche socio-politiche odierne tendono a risolvere in fretta ogni ostacolo all’adozione delle tecniche innovative. La resistenza culturale è la peggiore, perché condiziona la stessa politica, inducendola a lesinare fondi per ricerca e innovazione. Occorre anche aggiungere che la resistenza culturale è spesso indotta dalla paura inconscia dell’ignoto, dell’imponderabile, dell’imprevedibile, tutte condizioni aborrite dall’intellettuale, che ama proclamare con certezza le proprie tesi, richiamando a sostegno filosofi e storici che mediamente respingono sprezzantemente la sovrastruttura tecnologica, dichiarandola estranea all’umanità. E invece, come ben sappiamo anche se non sempre lo ammettiamo, la tecnica è forse il miglior prodotto dell’intelligenza umana, quello che ha creato le condizioni per una crescita straordinaria del genere umano, con una prospettiva di reale progresso complessivo dell’intera umanità, e con verosimili proiezioni di espansione cosmica della nostra specie.
Ma la resistenza culturale è forte, talmente forte che anche Stiegel negli ultimi lavori ha voluto distinguere tra una tecnica positiva e una negativa, con forti critiche alla web economy, fino a ritenere che l’attuale tecnologia non consentirebbe di modificare l’irreversibile entropia a cui sarebbe destinata la civiltà umana, diversamente dall’equilibrio energetico che caratterizzerebbe l’organizzazione naturale degli esseri biologici. Evidentemente, la massima di Heidegger secondo la quale “la tecnica è la nuova realtà dell’essere”, da lui stesso inizialmente evocata per difendere la propria visione filosofica, non è stata sufficiente a mutare la sua profonda natura di intellettuale.