Ma esiste una differenza sostanziale tra plagio e contaminazione? Esiste una differenza tra plagio e imitazione creativa? Si parla ancora di plagio al di là dell’aspetto giuridico?
La musica, l’arte, la poesia si nutrono di imitazione creativa. Dagli antichi ai postmoderni, le imitazioni creative o piuttosto emotive appaiono frequentissime… e tuttavia si potrebbe anche sostenere, gli argomenti non mancano, che nessuno ha mai plagiato nessuno, perché plagiare è impossibile. Passando da un autore a un altro, un’immagine, una pennellata, un capoverso di testo, un verso, un motivo mutano colore, ritmo, significato, timbro. La rifrazione del contesto li rende mutabili. Quindi reinventati. Solo il falso è autentica imitazione tout court.
Vogliamo togliere dalla Pinacoteca di Brera tutti i leonardeschi? E che fare con quelli di Pavia e dell’Ermitage a San Pietroburgo?
Si tratta di opere eccellenti, quando non veri capolavori, di
pittori che maggiormente concorsero a diramare il linguaggio di Leonardo, i pittori leonardeschi, appunto, e ad approfondire peraltro il ruolo avuto dai luoghi lombardi e delle città di Pavia e di Milano nella maturazione del linguaggio dello stesso Leonardo. Nessuno ha raggiunto il Maestro. Luini, avendo bottega, ha prodotto molto di più del Maestro. Opere eccelse. La bottega è un’altra storia ancora. Chi è l’autore?
La ricerca, lo studio e quindi imparare significa acquisire conoscenze da altri. Pensare – questa è l’unica conoscenza che si acquisisce da soli. Virgilio, senza citare la fonte, attingeva all’inesauribile Lucrezio: “Tutta la storia non è che una lunga ripetizione: un secolo plagia l’altro” (in I miserabili, di Victor Hugo, 1862).
“Mozart ebbe molte accuse di plagio per “prestiti” da Gluck, Haydn, Paisiello, Bach e altri” ricorda Luciano Chailly. Mozart avrebbe dovuto passare molto tempo nelle aule di tribunali per i suoi plagi. Puccini attinge da Rachmaninov (un tema di Turandot del 1926 è tratto dall’Elegia del 1892). Rachmaninov a sua volta da Chopin. Händel non nascondeva di aver preso spunti da Stradella e Keiser. Ma sappiamo di altri 27 compositori. In Israele in Egitto si contano ben diciassette citazioni! E anche il grande Shakespeare sarebbe stato bollato come plagiatore fuori dal suo secolo.
Flaminio Gualdoni, nella sua attenta relazione sul caso Benetta-Martinazzo scrive: “Ogni altra opera di ogni altro autore che presenti nel loro complesso i medesimi, o affini, caratteri, ma sia stata presentata successivamente, è considerata per tale ragione un plagio, che il sistema artistico rifiuta in quanto tale”.
Gli risponde Emil Cioran: “Quasi tutte le opere sono fatte con sprazzi di imitazione, brividi appresi ed estasi plagiate” (Sillogismi dell’amarezza, 1952).
Diceva Picasso: i mediocri imitano, i geni copiano. Si pensi a Guernica, rifacimento del Trionfo della morte di Palazzo Abatellis, a Palermo, opera di un anonimo catalano del XV secolo, che l’artista spagnolo vide a Firenze, nel 1917, in una stampa dei fratelli Alinari.
Emilio Isgrò cancella. Dal 1964 è il grande indiscutibile Cancellatore di fama mondiale. Solo che l’idea l’ha avuta un altro. “Si sa, e Isgrò sa che non può cancellare le date, come quella posta in calce a un testo cancellato, spietatamente, disperatamente da Man Ray, a Parigi, maggio 1924” ha scritto Alberico Sala sul Corriere della Sera nel febbraio del 1990. Mentre alcune di queste conturbanti osservazioni riassume Sebastiano Grasso (alla guida della pagina dell’arte, Corriere della Sera, 9 marzo 2008, pagina 37). Difficile scovare questo articolo che lessi allora, collaborando a mia volta al Corriere. Mentre internet straripa di notizie su Isgrò Cancellatore. Di certo, Man Ray fu preveggente. E Isgrò? Ha fatto sua l’idea e l’ha sviluppata nel tempo. Le ha conferito nuova sostanza, peso e storia.
Ma gli artisti hanno sempre ragione? Sulla questione Francesco Poli, critico e storico dell’arte, ha articolato un suo intervento. Gli artisti, talora, si tramutano in ricattatori. Pensiamo a quelli che retrodatano le opere, a quelli che per ragioni di mercato non autenticano le proprie opere, anche quando la paternità è conclamata, impedendone la pubblicazione nei cataloghi ragionati. Ma in generale l’autore è l’unico a stabilire l’autenticità dell’opera.
E allora Giorgio de Chirico? Grande riproduttore di suoi quadri, ma pronto a denunciare come falsi suoi quadri autentici. De Chirico, però, aveva trovato una soluzione al problema: ciò che conferisce autenticità è l’idea, non la data di esecuzione.
E allora Man Ray-Isgro? La citazione rubata, la frase détournata, l’immagine decontestualizzata e resa altra dall’artista e dal poeta mostrano che il plagio può diventare necessario per una ritrovata bellezza. Guy Debord (scittore, filosofo, regista, francese, 1931-1994) aggiusta la mira: “Le idee migliorano. Il senso delle parole [delle immagini, dei suoni…] vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso stringe dappresso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta”.
Ovvero la citazione, la ri-scrittura, la riappropriazione di un testo in un détournement artistico può condurre alla creazione di una nuova opera d’arte.
Degli artisti Benetta-Martinazzo
E ora proviamo, alla luce delle nostre divagazioni sul tema, ad avvicinare le opere degli artisti Enrico Benetta (1977) e Davide Martinazzo (1985).
Le idee circolano anche da sole, senza pregiudizio d’autore. Vengono sentite come proprie da ciascuno. E la storia allora? Chi introduce l’innovazione?
Tentiamo l’excursus su Benetta. Seguendo l’indicazione di Flaminio Gualdoni sull’originalità dell’opera di Benetta, “il dispositivo intellettuale posto per la prima volta e in via esclusiva etc e poi ogni altra opera di ogni altro autore che presenta nel loro complesso i medesimi, o affini, caratteri, ma sia stata presentata successivamente, è considerata per tale ragione un plagio, che il sistema artistico rifiuta in quanto tale”. Imbarazzante a volte il lessico: “sistema artistico”,” marchio”. Ma proviamo anche noi a ricorrere a questo linguaggio da Telemarket.
Cuori
A Treviso e nei dintorni un altro artista (ma è di Udine, classe 1929) influenza i nostri autori. Il Maestro Giorgio Celiberti. Riconosciuto da tempo a pieni voti dal sistema artistico in Italia e all’estero. Ma il suo marchio in qualche modo è contaminato alla stessa maniera da Benetta come anche dal più giovane Martinazzo. Il suo alfabeto dei cuori avrà affascinato prima Benetta e poi Martinazzo. I Cuori simili a tutti i tre appaiono alla fine degli anni ottanta nei suoi affreschi su tela, nei quaderni dell’anima. Cuori allo specchio, sette cuori a grappolo, avamposto dei cuori, Teresin e così via. Spazi vasti, spesso sporcati dalle scritture e dai grafiti (vedere due pubblicazioni di Skira e Marsiglio e le immagini presentate da Benetta) (ALL. 1, Giorgio Celiberti). Di certo si potrebbe accusare anche Celiberti di mancata autenticità. Giosetta Fioroni utilizza i cuori simili (i cuori sono sempre simili) in un lavoro del 1963 Interno famigliare con scarabocchi a mo’ di graffiti, pubblicato nella monografia di Skira a cura di Germano Celant (ALL. 2, Fioroni).
Un altro suo lavoro con il cuore viene usato per la copertina del libro di Goffredo Parise Sillabario N1 (Einaudi 1972).
Lina Sotis da decenni fa collezione di cuori d’artista.
Nel suo scritto la docente Antonia Ciampi non ha indicato/trovato le influenze del Maestro Celiberti, già noto negli ambienti d’arte italiani ed europei, nelle opere di Benetta, allora studente (anno 2000). Vede solo il “patrimonio naturale” di Benetta, il suo “unico individuale lavoro artistico” in quella prima revisione da Art Director (mostra a Treviso, 2006). Lo vede nato senza storia. Non le sembra che il giovane artista guarda con occhio da allievo, e forse ammirato, le opere che risultano assai simili a quelle del maestro friulano. Nessuno parla di scuola, di gruppi, di stile. L’arte è fatta da tutti e non da uno (Lautremont).
Un Jacques Villeglé affichiste (dal 60 al 68) (ALL. 3, Jacques Villeglé) e sempre nel 1960 Mimmo Rotella, che fa i suoi decollage (ALL. 4, Mimmo Rotella), aderiscono al Nouveau Réalisme. Questi decollage dei due negli anni ’90 si confondono.
Un artista originale non può copiare. Per essere originale non ha, dunque, che da copiare, scherzava Jean Cocteau, Il Gallo e l’Arlecchino, 1918.
Lettere
C’è dell’altro.
Alcune sculture in lettere metalliche di Benetta ricordano, se non ripetono, le sculture di Jaume Plensa (nato nel 1955) (ALL. 5, Jaume Plensa).
Le lettere, con l’arrivo dei tempi nuovi, sono ormai reliquie. Memoria di alfabeti e della scrittura a mano o in tipografia, dove tuttora, sempre più di rado, si usano lettere in metallo e anche in legno. Bellissime. Le tipografie chiudono, passando al digitale. Gli artisti le usano per le loro opere. Quando non scrivono a mano i testi calligrafici. A Mosca hanno aperto da qualche anno un Museo di calligrafia. Diventato un museo di lettere. Mostre internazionali si susseguono senza intervalli. Una Fiera internazionale di Libri d’artista da dieci anni ospita artisti e nuovi letteristi da tutto il mondo.
Scultore piacentino, Giorgio Milani (classe 1946), acquista caratteri tipografici, una miniera Gutenberg, e fa quadri poetici e sculture installate nelle piazze del mondo (ALL. 6, Giorgio Milani). La sua monografia è uscita di recente presso Skira a cura di Philippe Daverio. E quanti altri noti artisti, diventati ormai classici delle lettere tipografiche… La giovane triestina Alessandra Spiga non conosceva Milani, mentre faceva le opere che sembrano proprio della cifra di Milani (ALL. 7, Alessandra Spigai).
Pensare che Martinazzo abbia visto solamente Benetta è pensare che l’Italia si trovi nell’oceano come un’isola, mi pare eccessivo.
Recentemente una mostra a Milano di vecchi lavori di Roberto Sanesi, poeta anche visivo, ha offerto una scrittura simile a quella di Martinazzo (ALL. 8, Roberto Sanesi). Ma Martinazzo conosce Sanesi, scomparso e non molto conosciuto come artista? Il poeta, saggista, scrittore introduce dentro una sua opera visiva il concetto di scrittura. Scriveva sui dipinti con la propria calligrafia. Come Martinazzo.
Poi da Gualdoni viene anche sottolineato che Martinazzo (quest’ultimo non usa mai i caratteri Bodoni) “ricorre a collage come elemento plastico aggettante dalla superficie”. Ebbene, il drop out è stato praticato, a partire dai cubisti, dagli artisti del Nouveau realisme, dell’Arte povera, dell’arte del Riciclo e persino dai designer di gioielli (ALL. 9, Davide Martinazzo, Fernandez Arman).
Conclusione
“L’arte è o plagio o rivoluzione”, diceva Paul Gauguin. Allora anche il Benetta è un artista che non fa rivoluzione.
“Chiunque fa arte sa che uno dei propri compiti, se non il maggiore, è ispirare altri artisti, aprire strade, mostrare ciò che prima non era stato visto, o, almeno, non in quella maniera e, quindi, esporsi per natura, per essenza, al cosiddetto plagio. Il plagio è un atto di omaggio. Chi copia ammira” (Roberto Gervaso, Il grillo parlante, 1983) D’altronde gli psicologi ritengono che spesso accade che chi accusa di plagio, lo faccia per il senso di colpa.
Vuoi plagiare senza essere scoperto? Plagia i capolavori (Anselmo Bucci, Il pittore volante, 1930). Evidentemente Martinazzo non plagiava capolavori. Se mai di plagio si tratti.