Il flauto di Pan è ancora un possibile richiamo per la nostra rianimazione naturale. L’arte ultima dei rumori e corpi s’incontra con la “dimensione pulsionale”, quella in cui, secondo James Hillman, si sono rifugiati gli antichi dei, dopo la loro fuga dal mondo.
La voce e gli strumenti sonori diventano, attraverso il ritual del rumore, una musica pulsionale che percorre esorcismi e seduzioni per ascoltare i richiami dell’origine. Il rumore degli strumenti dialoga con quello diffuso dalla voce e dalle sonorità del corpo, cercando anche i brusii dell’oltre. In questi “con-testi” di parola-suono-rumore convivono i concetti di tradizione come origine e di avanguardia come piacere della sperimentazione, fluttuando in un continuum di richiami e suggestioni che oltrepassano la catalogazione.
Anche una voce, o una musica-rumore d’ambiente, può essere “vissuta come bianca”. Questa vocazione è presente nelle nuove sonorità che fuoriescono da strumenti musicali ambient: come quelli che ricercano i suoni “che vivono intorno” o della natura stessa. Le sonorità sono interpretate dalle emozioni e pulsionalità della voce corporea. Possono rappresentare, con le loro evocazioni neo-tribali, un’emergenza che “rilegge” sperimentazioni musicali, ma anche tradizioni e suggestioni mitico-sciamaniche. Queste espressioni assemblano voci e sonorità espresse dai nuova media con il rumore in evento-live dalle connotazioni rituali. Acqua, sassi, foglie, sabbia, vento, possono esprimere lirici e naturali strumenti di rumore “originale” in concerti improvvisati che aspirano all’azione ritual. Ho definito Barbari sognanti i loro suonatori.
La vita antica, come scrive Luigi Russolo nel suo manifesto futurista su L’Arte dei rumori (1913), “fu tutta silenzio. Nel diciannovesimo secolo, coll’invenzione delle macchine, nacque il Rumore”. Ma, oltre ai rumori delle macchine e di folle vocianti, troviamo anche le possibilità offerte dagli innumerevoli rumori della natura e della vita. Ad esempio, quelli del tuono “misterioso brontolio che arriva da lontano”; dell’ululato “basso, umano, minaccioso o implorante, triste oppure beffardo”; dei sibili acuti e persistenti del vento. Troviamo anche la magnifica orchestra delle foglie in un bosco, la meravigliosa varietà di ritmi e timbri della pioggia con il suo gocciolio.
Uno dei quattro elementi naturali, l’acqua, rappresenta la possibilità più varia e ricca di suoni: le grandiose sinfonie del mare in agitazione, il rumore profondo delle cascate, il gorgoglio lieve di un ruscello, ecc.
Con le T Rose (Laura Baldieri, Tiziana Pertoso tra le artiste del gruppo) ho cercato di suonare il rumore bianco, nel Salento, nella performance il Ritual Rumore, vestiti di bianco; come anche al III Festival delle “Bande a Sud”, presso la Marina di Casalabate (2014) che ho concluso lanciando, nel mare, una bottiglia contenente una poesia bianca.
L’arte bianca ha naturalmente le sue musiche nei rumori del silenzio. Primo e ultimo suono assolutamente naturale, il silenzio si risveglia nei significati e nei sensi indicanti un oltre. È come un’eco che crea altri echi fino a cancellare ogni traccia nel rumore bianco: “È un mondo così alto (…) che non ne avvertiamo il suono. (…) Per questo il bianco ci colpisce come un grande silenzio che ci sembra assoluto” (Wassily Kandinsky).
L’attimo del silenzio è anche l’attraversamento di un abisso sul quale si sono affacciati diversi compositori della nuova musica che hanno portato con sé il bianco delle altre arti. Questo attimo-borderline rappresenta il limite estremo a cui può giungere la creazione musicale e non: quello di ricercare un ritorno all’origine, prima di gettarsi come eco nell’abisso stesso, per scoprire che ogni distinzione tra le arti è superflua. La con-fusione dell’opera bianca è il sogno e l’oltre dell’arte stessa e rifiuta confini prestabiliti. Si può estendere al “fuoripagina” fino al bianco del silenzio che diviene lingua di una ricerca essenziale, interna e “altra”, coinvolgente il reale e l’invisibile.