Allegramente, la galleria Ravizza di Lugano ha allargato i propri orizzonti progettuali. Continua ad occuparsi degli artisti di oggi e di ieri (tutti contemporanei). E però, nello stesso tempo, intraprende un percorso si direbbe autoreferenziale, qualcuno potrebbe dirlo improduttivo, in rapporto all’attività abituale di una galleria d’arte contemporanea attenta ai linguaggi che sono o sono stati nuovi. Cosa fa l’inventiva titolare Allegra Ravizza? Realizza percorsi archivistici. Ma senza muffe né puzza di topi. Invece, puntando alla vitalità, cioè a far rivivere ciò che è stato vissuto.
Il futurismo è un capitolo o un libro chiuso? Lei si fa emula di Pierlambicchi, il famoso personaggio del mondo fumettistico che, con una pennellata della sua arcivernice, animava personaggi appesi a parete (fotografie o dipinti). La Allegra passa la sua arcivernice sul fenomeno futurismo, assumendo la musica come perno. E “costruisce” un catalogo di circa 50 pagine con attenzione al terreno filologico e con la spinta del sentimento. E vi trovano confortevole alloggio prime edizioni di libri, manifesti teorici, spartiti, e chi più ne ha ne metta. Diciamolo: la Allegra – è lei stessa a dichiararlo – non intende comportarsi da storica né da specialista. Comunque sia, fa ricerca, e il ritrovato la pungola e l’appassiona, e lei si fa trasportare da Russolo, da Silvio Mix, da Papini, e così via. E costruisce il “suo” archivio, mai asettico, e invece piuttosto contagioso.
Con l’architetto Carlo Ziliotto, assembla variamente i suoi sei cubi, il suo armamentario scenografico, forse con memoria dei “praticabili” di Adolphe Appia. Questa pasionaria dell’arte realizza così la sua wunderkammer, vuoi nella location fisica vuoi in quella mobile della pagina. E tu sfogli, meravigliato, o godendo. Con lei. Ecco allora il Piano Sperimentale 1, Museo del Futurismo parte II. E il puparo è lei, Allegra Ravizza, che mostra una sua seconda identità, dopo quella di gallerista dalle molteplici curiosità. Ad esempio, verso la letteratura. In tempi di possibili depressioni, fa circolare D’Annunzio dal cui Poema Paradisiaco, che è stato punto di riferimento per i poeti crepuscolari, sgancia una poesia al giorno per un totale di 100 messaggi. Bellissima idea.
A testimoniare che l’attenzione per gli artisti di suo interesse non sia scemata, Allegra Ravizza ha dedicato una mostra a Günter Weseler. Nome non roboante ma artista affascinante, capace di una suo percorso di ricerca originalissimo, ben al di là di ogni formalismo. Una sua patologia fisica lo porta ad occuparsi del respiro dal 1964 (è nato in Polonia nel 1930, vive a Düsseldorf). Lui davvero tocca il “core” dell’antiestetismo e dell’antiformalismo. E questo, va detto, ben al di là del gioco di parole tra monocromo e achrome (soprattutto ad opera di Piero Manzoni).
La mostra concepita dalla Ravizza (opere appositamente elaborate) mutua il titolo dalla serie di opere “Breathing Objects”. E respirano davvero queste performance oggettuali. E diversamente dai non meno interessanti oggetti cinetici di Gianni Colombo. La fisiologia del respiro è, per l’artista, pane fisico e spirituale quotidiano, ne conosce i segreti più reconditi, vi aggiunge anche la sua speculazione quale longa manus della fisiologia e quale trasferimento metaforico. Ma questo senza perdere il terreno primo del respiro, sicché la metafora respira anch’essa.
Anche perché l’oggetto respirante si combina con lo spazio verso cui è responsive in modo reciproco. E per questa via Weseler passa dal ritmo al movimento nello spazio, quasi medico-artista (ma giova invece dire che ha studiato architettura) emulo dell’euritmica di Jaques-Dalcroze che concepì lo slittamento del ritmo in movimento spaziale di cui si nutrì il citato Adolphe Appia. Non vi è dubbio che il successo arriso finora a Weseler è inadeguato al suo valore.