Da un testo di Etgar Keret uno spettacolo surreale
Sono molti gli operatori del teatro che non distinguono fra questo e la vita. Il teatro è la loro casa, il loro modo di comunicare e di garantirsi un’appartenenza.
In molti casi nei quali il teatro e la vita sono talmente interconnessi che in una conferenza stampa può capitare di percepire come denso, pesante, il senso del dovere verso la comunità intera. È successo al Teatro Franco Parenti dove Andrée Ruth Shammah ha presentato il Festival Israele: Tradizione e creatività – Energie da Tel Aviv.
Per la comunità ebraica il momento storico è difficile, dato il riscoppiare del conflitto israelo-palestinese. Il Festival, con la sua matrice lessicale – la festa – nonostante i tragici eventi in corso, non è stato rimandato. Neppure per un momento la sua direttrice ha pensato di annullarlo. Il pubblico ha risposto con entusiasmo.
Il Festival, pensato e programmato da tempo, vuole raccogliere le migliori drammaturgie e i migliori interpreti della scena israeliana. Una scena viva, che accoglie pensieri umani, li trasfonde nelle parole e sul palco. Con l’entusiasmo del pubblico.
Etgar Keret (1967) è il primo autore con il quale si è aperto il Festival. Dal suo testo “Pizzeria Kamikaze”, arriva lo spettacolo “Pizzeria K” ambientato in un aldilà dove i suicidi vivono la loro seconda vita. Sono molti i temi affrontati, questioni che riguardano tutti. Lo stereotipo è abbattuto dagli esordi, quando Haim (Francesco Brandi), suicida da appena due giorni, entra in scena presentandosi come un “ebreo povero” che ha trovato lavoro come cameriere in una pizzeria. Arriva poi l’ebreo napoletano Ari (Antonio Stoccuto) e l’ebrea Lihy (Giulia Pica) morta per overdose e capitata là per errore.
I tre giovani attori si calano efficacemente nei propri ruoli; sono tre bravi interpreti capaci di mantenersi tra il serio e il comico per tutto il copione. Sospesi nella loro nuova condizione, i tre rimangono sempre in bilico fra il sogno e la loro realtà e accompagnano lo spettatore in un viaggio assurdo. Ci sono automobili senza fari che miracolosamente tornano a funzionare, tubi montati e smontati, angeli, e una villa splendida e celestiale dove si svolge una festa (del Messia). I personaggi di Keret sono trasparenti e limpidi nonostante si muovano fra situazioni surreali.
La sensazione che certi facili cliché siano messi in discussione è forte. Così, mentre la storia di queste tre candide figure si svela, ci si accorge dell’intensità che caratterizza un semplice cameriere, un amante del rock un po’ sopra le righe e una giovane dall’aspetto alternativo, da fricchettona. I preconcetti sono smontati e un giudizio facile lascia il posto all’analisi del profondo delle cose.
Keret, abile e conosciuto scrittore, noto anche per le sceneggiature tv e nel cinema, dispone degli strumenti per mescolare serio e comico. Il regista Antonio De Masi dirige gli attori in una scena spoglia, movimentata solo dall’azione di Brandi, Pica e Stoccuto, grazie ai quali lo spettatore si immerge in atmosfere cupe ma alleggerite dai dialoghi che spesso strappano persino delle risa. E non manca quell’aura di poesia nella quale sono immerse le tre figure alla ricerca delle cose perdute. Così, persino in un limbo che appare molto simile alla vita terrena, ci si può annoiare e si può arrivare a sentire la mancanza del cielo e della sabbia.
Una scrittura che, con espedienti narrativi non scontati, ci parla dell’amore e della sua forza, dell’amicizia, del futuro che, senza cielo e stelle, senza mare e sabbia, può essere anche migliore del presente.
Pizzeria K basato sul libro Pizzeria Kamikaze di Etgar Keret
copyright © 2009 | All rights reserved
traduzione dall’ebraico di Alessandra Shomroni
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione nell’“Universale Economica” Ottobre 2018
adattamento Francesco Brandi
regia Mario De Masi
con Francesco Brandi, Giulia Pica e Antonio Stoccuto
musiche Alessandro Francese
produzione Teatro Franco Parenti, fino al 5 novembre al Teatro Franco Parenti
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