La restaurazione talebana e il silenzio dei media, l’imbarazzo di promesse disattese dall’Occidente
Dopo la tempesta mediatica determinata dalla ritirata della grande coalizione, l’Afghanistan scompare dalle cronache giornalistiche, inghiottito dalle tenebre medievali del nuovo regime talebano. La già disastrosa condizione economica del Paese si è acuita con l’inizio dell’inverno e circa 20 milioni di persone sono colpite dalla fame e dalle malattie.
Le agenzie dell’Onu si sono mobilitate per evitare la catastrofe ed è stata avviata una raccolta di fondi che non ha precedenti in aiuto a un singolo Paese.
La barbara abitudine di vendere le bambine come spose ha ripreso vigore, come riferiscono tristemente le poche ONG che operano ancora in loco. La legge vieta i matrimoni prima dei 15 anni, ma raramente viene rispettata. Questo perché vendere le spose bambine – o anche piccoli lavoratori maschi – è l’unico modo per fare sopravvivere gli altri componenti della famiglia.
La mancata emancipazione delle donne, misura del fallimento del ventennale intervento militare della Nato
Ci sarebbero risorse economiche utili ad alleviare le sofferenze della popolazione. Tuttavia il denaro per il momento rimane congelato negli Stati Uniti in attesa di un riconoscimento internazionale del nuovo regime. A molte donne è stato vietato di tornare al lavoro, ad eccezione delle attività umanitarie, e di frequentare le scuole superiori con la stravagante giustificazione secondo cui “non ce n’è bisogno”. Inoltre possono viaggiare da sole a una distanza superiore a 70 km solo se accompagnate da un uomo della propria famiglia.
A Herat alle donne è stato vietato di frequentare i bagni pubblici, anche se solo il 39% della popolazione ha accesso diretto all’acqua e ai servizi igienici. Secondo l’Onu occorrono 5 miliardi di dollari per evitare il disastro. Nel frattempo cresce verso i Paesi confinanti a Ovest, cioè il Pakistan e l’Iran, un esodo di massa che rischia di divenire incontenibile se il Paese non sarà oggetto di massicci aiuti umanitari da parte dell’Occidente.
La fine dei bombardamenti, l’anarchia sociale e la polverizzazione delle istituzioni
Gli Stati Uniti hanno versato 782 milioni di dollari; ma l’effetto degli aiuti in Afghanistan è poco rilevante per la disorganizzazione generale delle istituzioni statali in via di costituzione, per la frammentazione interna al mondo talebano e fra esso e l’Isis che ambisce a prendere il controllo della situazione. In questo già drammatico contesto dobbiamo collocare la pandemia che non ha risparmiato il Paese e contro la quale le poche vaccinazioni operate incidono in maniera irrisoria. Prima che i talebani prendessero il potere nel Paese funzionavano 39 ospedali. Attualmente di essi solo 3 o 4 sono operativi.
Un capitolo a parte è quello della coltivazione dell’oppio, di cui l’Afghanistan è il massimo produttore mondiale. I divieti dei comandanti talebani cadono nel nulla. Ciò a causa delle condizioni delle campagne. Infatti nessun altro tipo di pianta può fornire in breve tempo gli stessi utili del papavero. Gli enormi interessi che ruotano intorno al commercio illegale dell’oppio rendono ancora più difficile il controllo del territorio. Come si sa, le autorità che sono appena entrate in carica dopo il cambio di regime.
Il vuoto politico destabilizza l’Asia centrale alimentando vecchie e nuove rivalità
I Paesi che circondano l’Afghanistan approfittano del disordine sociale per fidelizzare, finanziandoli, gruppi di diversa estrazione, prevalentemente terroristici, che mantengono il Paese privo di una vera e propria guida politica. Il Pakistan esercita la maggiore influenza in questo contesto, cercando di coinvolgere il Paese nel secolare antagonismo con l’India in nome della comune fede islamica. Ma anche Cina, Russia e Turchia giocano la loro partita su questa infernale scacchiera. A controllarla per venti anni, e fino a pochi mesi fa, è stata una grande alleanza di Paesi occidentali. Erano questi i Paesi che, tra l’altro, dovevano mettere in campo i principi della democrazia, del rispetto per la vita e delle libertà fondamentali.