In questo agosto nel mondo islamico si è celebrata la festa del sacrificio, che ricorda l’offerta di Abramo a Dio della vita del figlio Isacco. E alla Mecca si è svolta la rituale lapidazione degli idoli e delle raffigurazioni del demonio. A Istanbul si è pregato nella moschea di Santa Sofia, dopo una lunga attesa. Questo non è un aspetto del mondo islamico, è l’aspetto centrale di esso oggi. Gli occhi degli occidentali non colgono facilmente l’importanza del momento attuale nella storia dei credenti maomettani.
La dissoluzione dell’impero ottomano alla fine della Grande Guerra non fu solo un fatto politico o la nascita di un nuovo assetto territoriale. Con il 1919 aveva termine il sultanato, una forma di teocrazia che da più di mille anni rappresentava per i musulmani la volontà di Dio sulla terra. L’operazione di occidentalizzazione, voluta da Ataturk, ebbe successo perché si appoggiava all’esercito, che aveva vittoriosamente respinto le pretese degli europei sulla penisola anatolica. Ma l’idea di separare il nazionalismo turco dalla religione tradizionale alla lunga sembra essere stata messa duramente alla prova.
Da che cosa? Dal sentimento di milioni di islamici orgogliosi di appartenere a una civiltà diversa da quella cristiana moderna, una civiltà in cui i miti del progresso materiale e dell’innovazione hanno una scarsissima rilevanza. Nel XX secolo i musulmani hanno visto i loro figli emigrare per trovare lavoro in Paesi occidentali e assumere abitudini contrarie al rigore dell’Islam. Hanno sentito l’umiliazione della colonizzazione, dell’inferiorità militare e tecnologica. Hanno subito la presenza pervasiva di mezzi di comunicazione, incontrollabili come internet, etc.
Come sempre accade in questi casi, ha assunto una particolare importanza la rivalutazione del passato. Di recente i turchi hanno festeggiato il 567° anniversario della conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II, e in Santa Sofia, durante la commemorazione, un imam ha recitato dei versi del Corano.
L’Unione europea ha partecipato – moderatamente – al coro delle proteste, ma la Turchia ospita basi della Nato e trattiene milioni di migranti che vorrebbero dilagare in Europa in cerca di pane e lavoro. Non è una posizione coraggiosa e dignitosa, ma può accadere che nel presente si paghino gli errori del passato, oppure si debba far fronte a problemi inediti, come le migrazioni di massa, per le quali non ci sono ricette predefinite.
E non è tutto. La zona di confine contesa fra Azerbaigian, sotto protezione di Ankara, e Armenia, sotto protezione russa, è in subbuglio. Occorre sperare che nel Caucaso non scorra ancora sangue.