Dinamismo critico e flusso attimale
CARMELO STRANO
In anni lontani, abbiamo avuto occasioni di incontri in un clima conviviale a casa di Licitra Ponti, ma poi cammini paralleli, con occasionali calorosi saluti amicali. Sicuramente una figura di riferimento nell’arte del nostro tempo per come ha smosso le acque stagnanti dell’arte specie in momenti cruciali di rivolgimenti della società. Questo come curatore.
Come saggista è fra i pochissimi italiani, nel suo caso influenza americana, che hanno dato impulsi dinamici alla riflessioni sull’arte in svolgimento. Testi di alta cronaca mi viene da definirli, cioè attenti al flusso attimale dei fenomeni. Questo anche in rapporto al mistilinguaggio e alla mescolanza delle discipline.
Poi c’è la rilevare la condanna, cioè ciò che forse a un certo punto lui deve avere sentito come condanna, l’esperienza pilota dell’Arte Povera. Tanto da fargli maturare, in anni non lontani, il desiderio di darsi il piglio dello storico. Nel mio libro “Gli anni Settanta” ho dedicato un capitolo a quella corrente alla luce di aspetti filosofici, semiologici, sociologici. E ho inteso dare a Cesare quel che è di Cesare: che si è trattato di una posizione lucida di un giovanissimo critico in corsa, con attenzione all’operatività critica di Pierre Restany in rapporto al suo Nuovo Realismo. Pochi anni di stacco tra i due movimenti, ma concettualmente e storicamente parlando segnati da una grande distanza.
Temo che la questione Piero Manzoni gli abbia imbrogliato le carte, fermo restando che Celant rimane, per quell’artista, un riferimento capitale, nel bene e nel male, nelle felici intuizioni e negli abbagli, nei rapporti sereni e in quelli strategicamente forzati.
Abilissimo stratega, sicuramente, ma ben paludato di eleganza. Ha vissuto intensamente il suo rapporto con l’arte. Quanto basta per farci dire che rimane un bell’esempio di vitalità, fin quasi la nostalgia dei periodi più vivaci, prima che si perdessero gli orientamenti e prima che tutto diventasse puro mercato, pura curatela mercantile, anche se, per alcuni aspetti, ne è stato un sano precursore.
Il lato inaccessibile e silenzioso delle cose nelle loro innocente verità
MAURIZIO VITTA
Germano Celant è scomparso, colpito dal Corona virus. Una “malattia povera”, viene sommessamente da dire, per il maestro dell’”arte povera”. Un male che ha superato le superbe certezze della scienza, che ha annullato la nostra supremazia sulla natura, che ha ridotto le cose alla loro ultima essenza, si adatta bene a quel concetto di arte che Celant indicò, nel suo primo e fondamentale libro, come fenomeno “precario e contingente, che vive d’azzardo in una situazione artistico-sociale aleatoria”.
Ha decretato, nell’arte del XX secolo, il rifiuto dell’oggetto, la messa al bando della rappresentazione, la negazione d’ogni soggettività, per cogliere il senso ultimo dell’opera d’arte nel richiamo a una povertà offerta dalle cose naturali e segrete. Che per questo lo abbiano salutato tutti, all’inizio, con una spasmodica attenzione, scaduta in seguito al normale avvicendamento della storia dell’arte, pronta a saltare da un affannoso presente a un distratto passato, fa parte del gioco. Egli stesso, divenuto organizzatore di eventi di alta qualità e personaggio di spicco dei grandi organismi internazionali, ne era consapevole.
Tuttavia, ciò che Germano Celant lascia davvero di sé è proprio quell’intuizione primaria e profonda di guardare alle cose al di là del loro significato storico e culturale, per coglierle in quella zona inaccessibile e silenziosa in cui esse denunciano la loro innocente verità. Come la filosofia moderna ha creduto di cogliere il senso del mondo nel cuore delle “cose stesse”, così il suo giudizio critico ha sembrato, per un momento, indicare nella “povertà” dell’arte la via per raggiungere il medesimo risultato.
Al di là dei suoi meriti, Celant ci ha lasciato dunque non una soluzione, ma un percorso da seguire, non senza avvertirne i rischi e i tranelli. Di ciò vada a lui il nostro ricordo e la nostra stima.
Un pensatore libero da pregiudizi schemi e convenzioni
GIAMPAOLO PREARO
La morte di Germano Celant ha avuto per me che l’ho conosciuto quando era agli inizi della sua splendida attività un lutto incancellabile. La dimensione della perdita chiama con sé un processo di interiorizzazione che apre la strada alla dimensione quasi greca del lutto, intendendo con questa parola un lungo e faticoso ricorso alla memoria che porta con sé qualcosa di tragico e di nuovo.
Lo conobbi agli esordi della mia attività di editore quando lui era ancora uno sconosciuto ma io avevo già compreso che non era soltanto un critico d’arte ma un intellettuale, un pensatore libero da pregiudizi schemi e convenzioni. Ne nacque una collaborazione intensa e visionaria che si tradusse con la pubblicazione dell’importante catalogo generale su Manzoni nel 1975.
Importante fu lo scambio epistolare intrapreso fra noi per nuovi progetti editoriali, idee, contributi. Ricordo le sue proposte su Paolini, Kosuth, Dine che lui conosceva direttamente, il progetto su De Maria, Wesselman, la monografia su Lo Savio. La collaborazione si rafforzò ulteriormente attraverso scambi e condivisioni intellettuali e culturali. In una delle sue lettere ricordo che mi invitava a chiamarlo più spesso rivolgendosi a me da pirata a pirata. Ho nel mio archivio diverse sue testimonianze sul nostro rapporto di amicizia.
Nel 1985 mi scrisse da New York una breve lettera nella quale si rivolgeva a me come a un amico che lui stimava e mi donava in regalo un pezzo di Boetti che a me piaceva particolarmente, augurando ad entrambi un grande successo. Ne è testimonianza una sua cartolina con il nome Prearo scritto sull’immagine di un areo datata il 20 ottobre 77. Abbiamo continuato a frequentarci sia per motivi di lavoro sia per amicizia personale. Come avevo previsto presto egli raggiunse una certa notorietà a livello internazionale, distinguendosi appunto non solo come curatore e per avere lanciato l’arte povera ma anche per la pubblicazione di saggi di rilievo per l’arte contemporanea. Prima del Covid 19 avevo intenzione di andare a trovarlo ma purtroppo la morte lo aveva raggiunto dopo aver contratto il Virus proprio in uno dei suoi viaggi negli Stati Uniti. Per un editore come me la sua perdita è incancellabile.