Qualcosa torna sempre

sacro filosofia per aristotele digitale

Il sacro e la filosofia

Anche il sacro non manca mai di tornare. Anche quando credi di averlo messo sotto scacco, come con l’imposizione ideologicamente laica, lui trova sempre i pertugi dai quali riemergere e, il più delle volte, come è sua natura, fa terribili danni.

Va detto – come ci ha insegnato René Girard – che il sacro non è in sé la religione, anche se ne alimenta il potere, ma è il tremendo, meglio è l’orribile bisogno di avere una vittima sacrificale per rimuovere (freudianamente) la violenza che è in noi e per stabilire il potere del potere. E si sa bene quanto ogni rimozione sia profondamente pericolosa.

Non c’è civilizzazione che non faccia in qualche modo i conti con le varie forme e i vari modi del sacro.

Ora, da tempo sostengo che nel passaggio dal modo di produzione industriale al modo di produzione digitale è cambiato tutto e, ultimamente, tendo a sottolineare la radicalità del cambiamento scrivendo che è cambiato non solo tutto, ma il Tutto. Cioè non sono solo cambiati gli epifenomeni ma la logica stessa che regola i rapporti tra i fenomeni.

Bene! Che ne è del sacro che, come detto, non manca mai di tornare?

Forse il così detto spirito del tempo spinge inesorabilmente verso la totale desacralizzazione, accentuando quella che alcuni filosofi chiamano la secolarizzazione? Saremmo tutti così finalmente laici e liberi da ogni vincolo se non da quello che noi stessi deliberiamo come patto sociale per non sbranarci a vicenda?

Non credo proprio, visto che il sacro non manca mai di tornare.

C’è sempre il pericolo che il sacro riemerga in tutta la sua capacità di violenza, anche in filosofia. E’ accaduto più volte con orrende maschere politiche nel secolo scorso. Ma c’è anche la possibilità di depotenziarlo. In fondo possiamo sempre aggrapparci con speranza al libero arbitrio. Come? Ce lo segnala Douglas Hofstadter nel suo formidabile Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante: provando a superare ogni possibile dualismo, anche quello di identità e differenza o, nelle trame del digitale, di continuo e discreto. Come? Con l’illuminazione Zen. Tranquillizzo il lettore: non sto cercando giustificazioni scivolando pericolosamente su misticismi orientaleggianti. Sto semplicemente rilevando, seguendo Hofstadter, che il teorema di Gödel, la coerenza di un sistema è tale proprio perché non può essere dimostrato, teorema che sta alla base della stessa possibilità che la logica digitale non sia solo matematica (cioè fondata sul continuo) ma anche argomentativa (cioè attivata nel discreto), ha delle analogie con lo Zen. Si noti: non scrivo affatto con la filosofia Zen, dato che lo Zen, come il digitale, non è una filosofia, ma un modo d’essere.

La caratteristica fondamentale dello Zen è che non è possibile definire lo Zen (sembra o no Gödel?) e che le parole e la verità sono incompatibili; forse questa vale anche per il digitale. E, forse, depotenziare il tremendo del sacro può offrici una spiritualità che non ha bisogno di alcuna giustificazione.

 

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ROBERTO MASIERO
Architetto, professore ordinario di Storia dell’Architettura, ha insegnato nelle Università di Venezia, Genova e Trieste. Ha contribuito alla fondazione della Facoltà di Architettura a Trieste e della facoltà Design e Arti dello IUAV, della quale è stato Vicepreside. É stato responsabile per l’UE di un Osservatorio sulle Accademie d’Arte.