Due giugno. Di solito, bandiere e parate, e riti di protocollo. Quest’anno, il presidente Sergio Mattarella ha dato un “la”. Necessario, opportuno sarebbe stato per chiunque altro suo posto, date le circostanze. Ma lui ha trovato toni, modi, espressioni del viso convinte e convincenti, toccanti. Una sobria ufficialità intonata all’emergenza (al concerto, solo i maestri).
Nel fare questo, nel parlare dell’etica dell’unità, ha lanciato il non troppo indiretto invito alle forze politiche a non giocare di fioretto sfruttando l’emergenza. Due grandi spade di Damocle sulla Penisola.
All’interno, la campagna elettorale permanente, lontanissima essendo la condizione che uno cominci a governare per essere a un certo punto giudicato. Questo peserà (ma speriamo il meno possibile) nella programmazione economica a proposito dei foraggiamenti EU. Si tratterà o di buona occasione o di occasione perdutamente persa.
All’esterno, una congiura occulta di miliardari e superpotenze belligeranti in vista del comando assoluto nel futuro prossimo. E tu, serva Italia di dolore ostello/ nave senza nocchiero in gran tempesta, rischi di vedere le tue glorie passate e recenti e le tue eccellenze vanificarsi come la recente distruzione del Teatro Nazionale di Tirana. Nel tempo del Re Sole finanziere la cultura è puro passatempo, quando concessa.
Forse un po’ di unità interna, potrebbe darci qualche illusione in più e allontanerebbe l’impressione che ora siano anche i “bàrbaroi” influencer a impedircela.