CARMELO STRANO – Una nota policromatica per i nuovi parlamentari europei. Al di là degli accordi politici che via via maturano in sede istituzionale.
Questa tornata elettorale europea è caduta in un momento cruciale del welfare di ogni Paese, che sia healthy o povero, dell’emisfero nord o sud, realmente o fintamente democratico. Una crisi olistica. Secondo il messaggio precristiano del console Menenio Agrippa, nessuna parte del corpo (umano o sociale) è indipendente o autosufficiente, ognuna è correlata alle altre.
Gli attacchi alla salute del nostro pianeta, l’andamento iperbolico della disuguaglianza, i paradossi socioeconomici (costruire e distruggere nello stesso tempo) sono il nostro pane quotidiano. Emergenza permanente destinata a evolversi in pervasività totale e senza ritorno. Abbiamo appena cominciato a prenderne coscienza, senza un adeguato impegno etico, mentre i vari bradicardici summit non incoraggiano. Sul versante economico, si tratta della goccia che fa traboccare il vaso. Ed è Newest Deal. Diversamente dal “New” del 1929, esso ha valore olistico. Si impone con la sua specificità, ma i problemi emergenti non si risolvono calandosi esclusivamente in essa. Al posto dell’individualismo, occorre coltivare la sinergia, l’eclettismo, la polivalenza, l’osmosi. Tutti valori che sono peraltro premessa per la pace. Altro che eurocentrismo o occidentalizzazione! I giganti di qualunque parte del mondo sono costretti a tenere presente che la disuguaglianza a briglia sciolta in un altro piccolo Paese non li lascia indenni.
E non basta. Anche la vecchia piccola grande nuova Europa deve tendere ad una sorta di “ellenismo”. Non barriere ma comuni denominatori, per “comandare assieme” (ad altre culture), come vuole il significato etimologico della parola sincretismo. Ma resta evidente che non è facile confidare che “the world will be as one”, come cantava John Lennon. Si battano le scarpe sugli scranni istituzionali alla maniera di Nikita Kruscev; alzi i muri, Trump, se proprio il drive è incontenibile. Ma meglio non strillare “Über alles”. Competitività significa, anche, facciamo del nostro meglio, contestualmente, perché né tu né io soccombiamo.
E tutto all’insegna del ruolo dominante e condizionante de “il quotidiano” o della daility, o quotidianizzazione. Oggi sentimento diffuso, “il quotidiano”, ma che suonava scandalistico nei momenti pionieristici (anni ottanta) di chi scrive e di qualcun altro. Persino la filosofia si è dailizzata, avendo perso da tempo il principio del sistema e dell’intero sapere. E, analogamente, si è passati dall’aureola e dalla contemplazione all’estetica quotidiana, fino al make-up e al packaging. Si parte dal fatto, non solo per raccontarlo, ma per esaminarlo e magari trarre da esso qualche idea generale utile alla comunità. Da qui la ragione per cui ho sottolineato l’opportunità che si parlasse, in modo ironico o dissacratorio, di filosofi-notai (senza risparmiare il sottoscritto).
È dalla presa di coscienza di questa nuova condizione socioculturale che si deve partire per operare in modo FYIN, “For Your Interest”, nell’interesse della gente ovunque viva nel mondo (il termine popolo è anacronistico, oltre che stretto). Sinergia-osmosi di culture, cinese, giapponese, araba, indiana. Tutte dailizzate, ognuna scendendo dal proprio Olimpo e parlando un ideale esperanto. Non una lingua. Più che altro un codice di segni indicanti pane, pasta, petrolio, verde, aria, clima. E tanti inevitabili litigi, tuttavia da mitigare presto, allo scopo di conciliare il possesso del mio e del tuo con l’impegno a contenere massimamente il cammino verso la distruzione. Tanto per stare ancora un po’ su questa terra. Fino a che il fenomeno dell’emigrazione riguarderà tutti i terrestri indipendentemente dalla latitudine in cui vivono.
Un nuovo viaggio alla Giulio Verne. Stavolta al centro dell’universo. Buon lavoro.