Il termine voos che vale per intelletto, mente, spirito. Ha a che vedere con numen, la mente divina. Esso, nell’ebraico Elohim (il divino), dà ordine agli elementi della creazione solo quando assegna loro un nome, cioè “definisce lo stato di relazione”. Voos può sfrecciare, precipitarsi, trasformarsi (sono parole omeriche ma presenti anche nei presocratici) senza distinguere tra coscienza incontrollata e coscienza intelligente o finalizzata. E lo fa in modo netto, cioè teoretico, ontologico, metafisico. C’è un frammento che dice (vado a memoria): “ il nous vede, il nous sente: tutto il resto è sordo e cieco”.
Tornando a Parmenide, va detto a questo punto che egli identifica pensare ed essere. Fa questo perché insiste in questo contesto, in questo stato di relazione, in questa determinazione spazio-temporale. Tuttavia, il filosofo percepisce ciò che trascende questa distinzione e la valuta in quanto evento e non in quanto necessità e destino (come farà la cultura vetero e neotestamentaria).
Evento, necessità e destino contraddistinguono sostanzialmente la vita. E qui dall’essere parmenideo si passa a Dioniso che è la vita, il gioco tra coscienza e incoscienza, quel continuo rinvio della rappresentazione che è lo specchio di Dioniso, fanciullo che gioca a dadi (qui qualcuno dovrebbe rivedere l’affermazione che il buon dio non gioca a dadi), che gioca con la palla (che non puoi mai sapere precisamente in anticipo dove va e cosa combina), con la trottola (così nei frammenti orfici, nel papiro dei misteri, del terzo secolo a.C.).
Vita e essere pare oggi si identifichino (quasi sinergia tra Parmenide e Dioniso). Tra l’altro per il filosofo greco il mondo è uno (e oggi il global mondo lo è) e soprattutto la sua logica è perfettamente compatibile con quella digitale, meglio bitical.