“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”. Parole di Aristotele, ma quanto siamo lontani dai tempi del filosofo greco. Nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani contempli lo svago e il tempo libero, la società frenetica in cui viviamo raramente consente di avere tempo a disposizione.
L’idea di tempo libero che abbiamo oggi è figlia della Rivoluzione industriale. Con l’avvento del lavoro in fabbrica, si è andata via via istituzionalizzando la contrapposizione tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato al non-lavoro. Ma l’idea di un tempo “altro” esisteva già nell’antica Grecia. La σχολή (scholè) era il tempo libero dalle attività necessarie per sopravvivere, e dunque da contingenze e affanni. Ci si dedicava alle cose amate, e, come si sa, i Greci erano inclini allo studio, alla riflessione, alla filosofia. Questa concezione positiva dell’otium (come lo chiamavano i Romani) è cambiata radicalmente con l’avvento della religione cristiana, prima, e della cultura protestante poi. L’ozio è stato considerato “padre di tutti i vizi” e il tempo libero dal lavoro è stato visto come una possibile occasione per “vagare” con la mente, abbracciando persino pensieri “pericolosi”.
La nostra società, iperconnessa e fondata sull’etica della produttività, ha in una certa maniera ripreso questa concezione negativa dello svago. Siamo ossessionati dall’idea di riempire ogni momento delle nostre giornate, e l’uso compulsivo che facciamo degli smartphone ne è la dimostrazione. Non impiegare il tempo libero ci rende frustrati e inquieti. La noia va evitata come la peste, un principio che gli adulti inculcano nei bambini sin dall’infanzia. I ragazzini hanno agende piene come se fossero manager, e al di fuori della scuola le loro giornate sono letteralmente scandite da corsi di danza, ginnastica, musica, teatro, inglese. Si diventa così perfetti automi attivi ed efficienti 24 ore su 24.
Eppure un po’ di sano far nulla rigenera la nostra mente e stimola la creatività. Una riprova arriva, nel 2013, da Sandi Mann, ricercatrice della University of Central Lancashire. Alcuni studenti sono stati incaricati di svolgere un compito ripetitivo e noioso, copiare numeri di telefono da una rubrica. Poi essi, invitati a trovare il maggior numero di utilizzi possibile a due tazze di polistirolo, hanno partorito idee molto più originali rispetto a un altro gruppo di studenti che non aveva svolto la medesima attività noiosa. La conclusione? La noia stimola i processi creativi e lo sviluppo di nuove associazioni mentali, permette di rielaborare le informazioni presenti nel nostro cervello e di guardare la realtà che ci circonda da una prospettiva differente. L’assunzione dell’esempio Greco sicuramente costituirebbe un contributo al nostro viver meglio.