“Ah che bell’ ‘o cafè, pure in carcere ‘o sanno fà”. Nella famosa canzone di De Andrè, fine anni ’80 si celebra il caffè e l’arte di saperlo fare persino nelle più infime prigioni, in realtà per denunciare ben più drammatiche situazioni. Ma l’associazione caffè-Napoli, che poi è una sineddoche che sta per caffè-Italia, ha reso questo motivetto popolare, come del resto è il nostro “Espresso”.
Caffè-Napoli, caffè-Italia: questo legame è scritto nella storia della nostra industria. Perché l’industria, ben prima di De Andrè, l’ha reso così noto in tutto il mondo. Quando si pensa al caffè non si pensa alle ricche piantagioni del Brasile o ai bibitoni diffusi da multinazionali americane o, ancora, al macinato dal gusto unico che viene dall’Etiopia. Chi pensa al caffè pensa all’Italia e alla moka, prodotto industriale capace di trasmettere la cultura del nostro Paese in tutto il mondo. Un perfetto mix di design ed efficienza, con una spruzzatina di folklore e una forte vocazione “utilitaria”, che ha portato l’espresso nella gran parte delle case del pianeta. L’industria è arte, un’arte utile e “da tre soldi”, come direbbe Brecht.
A celebrare la moka, come opera di-tutti-e-per-tutti, è persino il famoso MOMA di New York, che espone in modo permanente questo oggetto disegnato e prodotto nel 1933 da Alfonso Bialetti e venduto in oltre 300 milioni di pezzi fino ai giorni nostri.
Eppure si diceva di Napoli: cosa c’entra Napoli con Cusio, la zona tra Piemonte, in cui sono nate le prime macchine del caffè all’italiana? Ed è qui che va fatto un passo indietro. Alfonso Bialetti infatti è l’inventore della moka, ma non è stato il primo a inventare la “macchinetta”. A farlo è stato un altro piemontese, meno noto ma non meno importante, l’imprenditore Angelo Moriondo. Alla fine dell’Ottocento, dopo l’Unità d’Italia, i legami tra Torino capitale e Napoli (ex) capitale del (fu) Regno borbonico diventano sempre più intensi.
Si racconta che Angelo Moriondo, durante un viaggio d’affari a Napoli, si sia imbattuto nella rudimentale macchinetta di latta, la cosiddetta “cuccumella”, che i napoletani usavano per fare il loro bibitone al caffè, sin dal lontano 1819. La “cuccumella” si caratterizzava per l’utilizzo della semplice forza di gravità. Nel 1884 Moriondo intuisce che la forza di gravità si sarebbe potuta sostituire con il vapore, l’energia che ha trainato la prima rivoluzione industriale. Ed ecco che nasce la prima macchinetta a vapore per il caffè. Ma il vapore, a differenza dalla gravità, accelera di molto i processi e, portando l’acqua a ebollizione molto prima, riduce sia la quantità di tempo necessario che la stessa quantità di liquido. Ed è così che nasce il termine “espresso”.
Dal 1884 in poi è un’escalation: tra Napoli e Torino le connessioni restano forti, tanto che nel 1889 nasce la pizza Margherita, in onore della regina dei Savoia. Ma questa è un’altra storia.