Poiché lo spazio abitativo ha un limite nel suo sviluppo verticale e poiché è un dato di fatto incontrovertibile che nei prossimi decenni la popolazione urbana aumenterà progressivamente, lo sviluppo di periferie sempre più ampie non può non essere il tema centrale delle politiche demografiche di tutti i Paesi del pianeta. Le periferie sono le città del futuro – dice Renzo Piano – sono fabbriche di desideri e depositi di energie giovanili alla ricerca di occasioni e di strumenti utili a inventare e praticare nuove o rinnovate forme di socializzazione.
La grande sfida del secolo appena iniziato è quella di fare in modo che diventino città metropolitane, molto più attraenti dei centri urbani dalle mille luci, in cui file infinite di negozi alimentano un consumismo che non sembra dare molta felicità a chi li frequenta. La periferia, infatti, è prima di tutto un modo di vivere in cui la persona è al centro – o può essere riportata al centro di valori condivisi. La periferia è comunità, non aggregato di «vicini di casa». Una comunità che può condividere spazi non utilizzati, rivitalizzarli, rendendoli più belli con opere di street art, che può animare forme di commercio di vicinato, sollecitare iniziative di cittadinanza attiva come la pulizia dell’ambiente o l’animazione culturale.
Di fronte ai flussi migratori è più che mai necessario trasformare queste aree, ora marginali e dimenticate, in centri di aggregazione attiva, di educazione civile, di contrasto alla piccola e grande criminalità, di insediamento per strutture produttive adeguate alle esigenze attuali e future. In Italia il 36% della popolazione vive in città di periferia. La riqualificazione di aree periferiche richiede stanziamenti economici notevoli. D’altra parte, sarebbe un gravissimo errore investire denaro per creare ulteriori periferie, complicando il problema della mobilità, dei servizi pubblici, etc. La sfida è sociale e politica. La periferia ghetto è spesso la realtà, la periferia come centro alternativo è l’obiettivo. Tuttavia l’investimento economico a lungo termine non presenta molti rischi. Tutte le ricerche prevedono un afflusso crescente di popolazione dalle campagne e dai piccoli centri verso le grandi città e ciò significherà insediamenti urbani policentrici, innalzamento del valore degli immobili allocati in periferia, apertura di attività commerciali e professionali e di tutto il settore terziario in generale.
Infine, ma non per importanza, va ricordato che per secoli abbiamo utilizzato il suolo come se fosse disponibile in quantità infinita. Abbiamo distrutto prati e boschi, ristretto in alvei innaturali fiumi e ruscelli, edificato su terreni franosi, magari cancellando paesaggi di incredibile bellezza. Abbiamo dissestato il territorio in modo assurdo e ne subiamo spesso le conseguenze. Frane, smottamenti, fenomeni alluvionali testimoniano periodicamente dell’attività distruttiva degli equilibri ambientali messa in atto con disinvoltura e incoscienza.