Idealismo e pragmatismo si scontrano in un mondo globalizzato dall’economia e indifferente ai diritti umani. L’Europa ha un preciso ruolo da svolgere. Ogni civiltà ha i suoi valori. Sono religiosi nelle società confessionali o laici, ispirati a filosofie politiche, a esperienze storiche, a progetti collettivi o ad altro. L’essenziale è che ci siano, perché se non ci sono valori di fondo non si può distinguere il bene collettivo dal male.
Sarebbe bello che tutti condividessero gli stessi valori ed è per questo che, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea delle Nazioni Unite emanò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ma passare dalle parole ai fatti non fu, e non è, facile, sia perché non tutti gli Stati la firmarono, sia perché non fu riconosciuto il suo valore vincolante della Carta. I Paesi non democratici la ignorarono e da ciò nacque una annosa questione: è giusto costringere con la forza uno Stato a rispettare valori e diritti indicati dalla Carta?
La risposta non è scontata perché negli stessi anni una grossa parte della popolazione mondiale si liberava dal colonialismo. Occorreva quindi fissare un principio che impedisse alle potenze europee di tornare a intromettersi negli affari interni dei popoli prima colonizzati (anche se dopo lo fecero egualmente). Una specie di principio del non intervento da rispettare senza eccezioni. Allora: se si sta compiendo un genocidio in un determinato Paese, si può violare la sua sovranità per bloccarlo? Per evidenti motivi umanitari la risposta è positiva. Ma lo è anche in altri casi meno eclatanti? Se in un Paese X un dittatore non rispetta i diritti fondamentali dell’uomo, è giusto usare le armi per fare largo alla democrazia? Talvolta sì, talvolta no, ma viene il sospetto che si scelga sulla base di altre ragioni. Abbiamo inventato le guerre umanitarie.
Per esempio, che succede se un dittatore che governa uno dei maggiori Paesi produttori di petrolio, sospende l’esportazione del petrolio? Si fa di tutto per dimostrare che la cosiddetta «comunità internazionale» deve intervenire contro le violazioni dei diritti umani praticate da quel dittatore. Se poi l’opinione pubblica osservasse che tanti altri dittatori fanno di peggio, si può sempre fare legittimare l’aggressione dalle Nazioni Unite, che però… potrebbero essere in buona parte finanziate dallo Stato aggressore. Vinta la guerra, bisogna istituire un regime democratico e se la popolazione interessata preferisce un sistema politico diverso, magari teocratico, bisogna costringerla – o meglio «educarla» – a una democrazia obbligatoria. Insomma democratizzatevi o vi uccidiamo! Ciò ha fatto pensare a qualcuno che la dottrina dell’esportazione della democrazia, più che un problema di ideali è una questione economica e politica.
La rivoluzione islamica del 1979/80, purtroppo, ha tragicamente dimostrato come una modernizzazione forzata può far precipitare per reazione un intero popolo consenziente nel baratro di un feroce totalitarismo religioso, che dopo 40 anni non da segni di cedimento.
Ma adesso la situazione è cambiata. Prima erano gli europei e gli statunitensi a «scegliere» dove i diritti umani erano violati, e non avevano alcuna difficoltà a imporre la propria forza. Ora i diritti umani sono violati dalla Cina, con la quale siamo e saremo legati da interessi commerciali, dall’Arabia Saudita che esporta petrolio in mezzo mondo, dall’Iran, che minaccia di entrare in possesso di ordigni atomici, dalla Russia che rinasce come potenza nucleare, seppure regionale.
Quale politica attuare nei loro confronti? Il pragmatismo e l’idealismo si scontrano in un silenzio assordante e l’Europa, come culla di quella civiltà che ha prodotto il concetto stesso di diritto umano, ha il dovere di trovare una strada. Ursula von der Leyen ha dichiarato subito che la «sua» Commissione europea, sarà una Commissione geopolitica, cioè dovrà far sentire la sua presenza nel mondo. Come? Lo vedremo.