Il lavoro della maggior parte degli architetti riguarda la forma, lo spazio e la struttura. Il lavoro di SITE riguarda idee, atteggiamenti e contesti.
La mia definizione di “de-architecture” è quella di cercare un modo per sezionare, frantumare, dissolvere, invertire e trasformare alcuni pregiudizi sul design degli edifici, nell’interesse delle rivelazioni che emergono tra i frammenti.
Arte pubblica, architettura, paesaggio e spazio urbano possono solo che integrarsi. Quando le loro definizioni accademiche sono state sfidate, le loro distinzioni come entità separate sono state abbandonate, e infine è divenuto difficile determinare dove una tipologia di arte iniziasse e l’altra finisse.
I messaggi che gli edifici comunicano, come estensione delle loro stesse funzioni, o relazioni formali, non sono mai interessanti come le idee che gli edifici stessi possono assorbire dall’esterno. L’architettura dovrebbe essere come una spugna ambientale, assorbire quindi e trasmettere i messaggi sociologici, ecologici, fisiologici e culturali più rilevanti, da ciò che la circonda. In questo modo, un edificio può essere visto come una zona di filtro per feedback contestuali. Questo processo assimilativo inoltre apre alla fusione di arte e architettura, come una forza di pubblica diffusione, che è direttamente correlata alle agende sempre più integrate delle dell’era informativa ed ecologica nella quale ci troviamo.
La maggior parte delle persone guarda all’architettura come una presenza naturale nel settore pubblico.
Gli edifici non hanno bisogno di una logica difensiva per spiegare la propria esistenza. Tutte le altre forme d’arte – scultura, monumenti commemorativi, murales, alberi in vasi e accessori decorativi – di solito appaiono come intrusioni scomode nel paesaggio urbano. Loro si qualificano solo come “pubblici” a causa di una decisione arbitraria di localizzarli innanzitutto all’esterno. Se l’architettura è dotata di un contenuto davvero intrinseco e reattivamente contestuale – e non solo interpretato come un oggetto di design ermeneuticamente formalista o di forma scultorea – questo potrebbe diventare la forma d’ arte pubblica più comunicativa in assoluto.
Quando mi sono avventurato nei territori “tra le arti”, negli ultimi anni Sessanta, ho iniziato a interpretare le connessioni tra arte e architettura come un luogo avvolgente e ibrido, che ho definito “arch-art”. Non essendo né l’una né l’altra cosa, io la vedevo come entrambe. Dato che il mio focus creativo principale erano gli edifici e gli spazi pubblici, tutte le fonti di contenuto provenivano dal contesto. Luogo, funzione, servizio, materialità, interazione umana, psicologia della situazione diventano materie prime per la comunicazione; in altre parole, subjectmatter. Quando si lavora a progetti di architettura, questo punto di vista mi solleva dalle convenzioni di “esprimere una funzione”, come una responsabilità tradizionale di abitare.
L’arte gode della libertà di esplorare radicali fenomeni visivi, mentre l’architettura è troppo spesso ostacolata dal suo eccesso di considerazioni pratiche. Anche le configurazioni più disparate di edifici sono ancora ostacolate da strategie formaliste, avvolte attorno a un insieme obbligatorio di servizi. Questo processo obsoleto viene costantemente definito dagli architetti come “funzione di espressione della forma”. L’opportunità fornita dalla tecnologia digitale ha permesso una varietà senza precedenti di magie strutturali / scultoree e tutte le forme di creazione di gusto esotico; ma questa è solo un’illusione della libertà artistica, che maschera un glossario di vincoli familiari. Poiché l’arte visiva è accreditata come beneficiaria di opzioni estetiche illimitate, è stata universalmente incoraggiata nel mettere in discussione convenzioni e definizioni. Questo clima di sfiducia e critica nell’arte è ulteriormente sanzionato come base per una rivoluzione di significato e una gamma di interpretazione sempre più ampia. Tali libertà sono raramente presenti in architettura.