Fino a non molto tempo fa, le principali innovazioni in ambito tecnologico provenivano dagli Stati Uniti; ora invece la Mecca dell’industria hi tech è rappresentata dalla metropoli cinese Shenzhen: lì infatti si trovano le sedi di giganti tecnologici come Huawei, DJI e Tencent, e lì si trova Huaqiangbei, il più grande mercato mondiale dell’elettronica che con i suoi numeri da capogiro è stato ribattezzato la Silicon Valley della Cina.
I concetti di innovazione e modernità sono spesso sono andati a braccetto nella storia dell’Occidente, dove in effetti hanno avuto i natali: l’Europa è stata la culla dell’Illuminismo, della Rivoluzione Scientifica e dello Stato Moderno. Sono queste le tappe di un lungo processo di secolarizzazione della società, iniziato con la progressiva centralizzazione dell’individuo e culminato nell’avvento della società consumistica moderna. La prospettiva creatasi in seguito a questo processo è stata quella dello Stato Europeo come modello sociale al quale aspirare in quanto moderno e sviluppato. Ma è davvero così? Che cosa si intende effettivamente per società moderna? È possibile per una società fondata su sistemi valoriali, storici e culturali diversi aspirare a un simile traguardo? E soprattutto, è davvero questo il traguardo al quale ogni società dovrebbe aspirare?
Prendiamo l’esempio della Cina, che è stata protagonista negli ultimi decenni di un’enorme sviluppo economico, infrastrutturale e tecnologico. Ci si è giustamente domandati se fosse possibile dare vita a un incontro fecondo tra i valori della modernità occidentale, in primis quelli basati sulla libertà individuale, e i principi tradizionali della cultura e società cinese che risalgono a Confucio.
I valori confuciani possono essere riassunti nei concetti di rén (仁) e lǐ (禮). Il primo, unione del carattere di uomo (人) e di due (二), fa riferimento alle relazioni umane e indica l’amore e il rispetto che devono caratterizzare tutti i rapporti sociali. Non si tratta di un concetto astratto, ma di un peculiare atteggiamento morale fondato su quella reciprocità che trasforma i vincoli familiari e sociali in rapporti etici. La pietà filiale, il rispetto fraterno, la debita reverenza per gli anziani sono senz’altro importanti valori della Via (道) a cui qualsiasi società deve rifarsi per un’armoniosa e giusta convivenza.
Il concetto di lǐ (禮), originariamente riferito ai sacrifici di carattere religioso, rappresenta l’insieme di forme rituali che costituiscono il codice di comportamento secondo la tradizione confuciana: qualificandosi come regole di decoro essenziali per la convivenza, i riti sono altresì espressione di ciò che rende l’uomo tale.
Attraverso questi due concetti è forse più semplice comprendere il programma ambizioso di Confucio: costruire un sistema nel quale ordine e benessere potessero convivere, mediante il riconoscimento continuo e costante della gerarchia, al fine di compiere il prodigio della Società Armoniosa. È evidente come questi valori non rappresentino solo principi spirituali e morali astratti, ma precetti che pervadono la vita quotidiana, il lavoro e più in generale tutta la Cina come sistema paese.
Considerate queste premesse, per molto tempo non è stato ritenuto possibile coniugare la tradizione dell’antico filosofo con i valori della modernità occidentale: i dettami confuciani erano ritenuti responsabili dell’arretratezza di cui soffriva la società cinese, una società con grande potenziale ma incapace di abbracciare l’innovazione scientifica. Secondo lo storico Mark Elvin, il grande equilibrio socio-economico di cui godeva la Cina imperiale non aveva innescato rinnovamento e innovazione, motivo per cui la nazione viveva una “trappola della stabilità”, incrinata solo dalla Guerra dell’Oppio e dalla caduta dell’Impero nel 1911.
Nel Novecento in effetti si è assistito all’incontro-scontro tra Cina e Occidente, che ha diffuso nella nazione un drammatico senso di perifericità. La Cina è partita così all’inseguimento della modernità tanto agognata, che rappresenta una delle priorità dell’agenda politica dell’epoca attuale, definita la Nuova Era e inaugurata dal Presidente Xi Jinping al XIX Congresso del Partito Comunista Cinese. Proprio il PCC nell’ultimo ventennio ha cercato di coniugare la Nuova Era con la tradizione confuciana, utilizzando quest’ultima in modo strumentale e riprendendo il concetto di armonia con l’avvio della politica di Sviluppo Pacifico. L’obiettivo è quello di traghettare la Cina verso un futuro in cui l’innovazione non sia più in contrasto con il passato, che diviene a sua volta strumento di riscatto.
I leader cinesi hanno dunque stabilito degli obiettivi ben precisi, da raggiungere progressivamente attraverso tre “tappe”: raggiungere la costituzione di una società “moderatamente prospera” nel 2020, conseguire una “progressiva modernizzazione” tra il 2020 e il 2035 e creare una nazione “socialista moderna, forte, prospera, culturalmente avanzata e democratica” entro il 2049.
Tanti interrogativi ruotano ancora intorno al concetto di libertà individuale, chiave di volta del processo di modernizzazione europea. La ricetta cinese potrebbe essere diversa, ma non per questo meno vincente. Lo stesso Confucio affermava nei Dialoghi 16:2 che “quando la Via prevale sull’Impero, la gente comune non deve esprimere critiche”, sottolineando come l’interesse comune sia più importante dell’affermazione di un diritto individuale.