Danze prosaiche nel tempio
Fa ancora scandalo mescolare musica barocca, nobile e alta, e danza quotidiana, di strada, multietnica? È fuori posto, alla Scala, The Fairy Queen di Purcell, con Les Arts Florissants di William Christie, nella dimensione coreografica “prosaica” della compagnia Käfig (gabbia) di Mourad Merzouki, francese di ascendenze algerine?
Il raffinato direttore musicale di questo magnifico ensemble aveva già voluto dialogare in precedenza con coreografi contemporanei di più stili personali e autorali, come Maguy Marin, Jiří Kylián e Trisha Brown; ora si è confrontato felicemente con l’abilità ritmica di uno speciale cast di danzatori polivalenti e variegati riuniti sotto la guida di un coreo-regista approdato alle grandi scene dall’universo hip hop.
Nuovi connubi, opera e danza
Mourad Merzouki, che guida il Centre chorégraphique national di Créteil, altro tempio istituzionale, è un autore di primo piano nel panorama della danza contemporanea, avendo integrato nel suo percorso la militanza in tante compagnie titolate d’Oltralpe e mantenendo vive collaborazioni preziose con l’amico, come con il Quatuor Debussy e il Cirque Éloise.
La miglior risposta ai dubbi sui connubi di nuovo stampo, tra danza di oggi e opera di ieri, la fornisce William Christie stesso, affermando: “You always make new discoveries and spot things overlooked. Not only that, but you face whole new casts of singers, dancers, instrumentalists, and stage directors, all of whom lead you to discover something else in the music. Any artist, committed enough to a be a good interpreter wants to see his work evolve, no matter how many times he has played it”. “Si fanno sempre nuove scoperte e si trovano aspetti trascurati. Non solo, ma si affrontano cast completamente nuovi di cantanti, ballerini, strumentisti e registi, che ti portano a scoprire qualcos’altro nella musica. Qualsiasi artista, sufficientemente impegnato da essere un buon interprete, vuole vedere evolvere il suo lavoro, non importa quante volte lo abbia interpretato”.
Bon ton e danza, indoor e outdoor
Fanno scandalo i comportamenti non appropriati degli artisti, non solo negli spettacoli frontali in teatro, ma anche in quelli che hanno luogo in spazi diversi, in contesti condivisi? In musei, piazze, giardini? E quali sarebbero i comportamenti scandalosi? Come si “dovrebbe” convivere con il black box teatrale e il white box museale e, soprattutto anche al di fuori da queste scatole consuete?
Le azioni site specific davvero liberano gli artisti dai vincoli del palcoscenico e delle sale espositive, animate ora dalle performance che superano una concezione puramente conservativa-archivistica del museo, e liberano anche i modi con cui il pubblico si muove intorno? Dove posizionarsi per godere di queste performance? Come guardarle, magari nella piena luce del giorno? Per quanto tempo soffermarsi? A proprio gusto e con i propri limiti di attenzione, come davanti alle sculture esposte nelle gallerie o nei musei? Un galateo in realtà c’è, sia pure non scritto e non fissato, sia pure senza posti assegnati.
Non di rado sono gli artisti stessi a indicare come spostarsi seguendone la traccia o come farsi guardare in modo diretto, ravvicinato, senza le mediazioni della quarta parete o del buio.
Ruth Childs e il “suo” Blast!
Al FED, Festival Danza Estate di Bergamo, Ruth Childs, nipote di Lucinda Childs – figlia del fratello – che ha ricevuto in dono alcuni soli della zia, come il famoso Carnation con i bigodini, le spugnette lavapiatti e lo scolaverdure in testa, ha portato alla ex Centrale Elettrica DASTE – Spazio Eventi, nella luce di un pomeriggio soleggiato, il proprio Blast!, un lavoro personale esplosivo con parola, voce, musica – del complice Stéphane Vecchione – e gesto, lanciato come un pugno in faccia a chi guarda, impegnando gli astanti a reggere con sguardo fermo l’espressione diretta dell’intimità dell’artista, forte ed esplicita nei sentimenti e nella narrazione di sé.
Danza di corpi e danza di spazi
Il Lugano Dance Project 2024 si è focalizzato sul contrasto-contatto tra l’architettura vivente della danza e quella degli edifici d’autore in Ticino, sia con dialoghi tra artisti e architetti sia con spettacoli e performance.
Nicola Galli, talento poliedrico e multiartistico, insieme a Giulio Petrucci, ha disegnato con Cosmorama una danza site specific negli spazi del Lac, vista la pioggia impietosa sulla Chiesa di Santa Maria degli Angeli al Monte Tamaro, una straordinaria “decostruzione” di una cappella in mattoni a firma di Mario Botta.
Il duo ha inserito linee candide elegantemente formali a ogni piano, sui palchi e sulle scale di un edificio che si illumina dalle grandi vetrate, tutto votato alle arti, su progetto di Ivano Gianola, ora con una vibrante mostra, Sculpting Time, su Alexander Calder – i mobiles compresi – in corso fino a ottobre nella zona espositiva.
Danze in giardino
Maria Hassabi, performer cipriota-newyokese, ha portato il workshop dei suoi danzatori, che hanno distillato movimenti e gesti da turisti sapienti, nel giardino di Villa Heleneum-Fondazione Bally, un palazzetto eclettico costruito negli anni Trenta del secolo scorso, su progetto dell’architetto berlinese Hugo Dunkel.
La villa, in regione Castagnola, con il suo approdo lacustre, resta legata al nome della danzatrice Hélène Bieber, che la commissionò e ci abitò fino al 1967.
Nata nel 1890, originaria di Francoforte, la Bieber fece fortuna come ballerina di avanspettacolo a Parigi, dove frequentava gli atelier degli artisti, e sulle rive del lago svizzero ebbe l’ambizione di creare un cenacolo mondano e culturale, forse in qualche modo ispirato alle esperienze del vicino Monte Verità.
Hélène non riuscì completamente nei suoi intenti a causa della crisi economica degli anni Trenta e poi dello scoppio della seconda guerra mondiale. Fece comunque costruire il suo Heleneum ispirandosi ai modelli neoclassici e in particolare al Petit Trianon di Versailles. Sulle inferriate del parco si può notare l’iniziale (H.) del suo nome, a imitazione delle iniziali che Maria Antonietta (M. A.) volle sul piccolo palcoscenico della Reggia dove amava esibirsi.
Attualmente, nelle sale della Fondazione con vista lago, spicca una mostra anch’essa site specific a cura di Vittoria Mattarese, Arcadia, a più voci, da Mario Schifano a Julius von Bismarck, da Oriente a Occidente; al centro il tema della palma, del panorama, della vegetazione, nel microclima quasi tropicale del luogo.
La Hassabi stessa in jeans si è esibita in un solo millimetrico ammaliante e avvolgente, a segmenti piccolissimi e controllatissimi, con un sound semi-silenzioso, in partnership con una panca candida nella Hall del Lac.
Ispirazioni “sacre”
Ioannis Mandafounis, ora alla guida della Dreseden Frankfurt Dance Company, già diretta da William Forsythe – per cui è stato danzatore – e poi da Jacopo Godani, ha abitato la Villa e il Teatro San Materno costruiti da Carl Weidermeyer in stile Bauhaus per la “danzatrice sacra” Charlotte Bara ad Ascona, vivendo ogni esterno e interno e coinvolgendo anche concretamente gli spettatori, fino a ritrovarsi tutti in scena e a scendere in platea.
Di grande ispirazione anche la vicenda di Charlotte Bara, figlia del ricco mercante di seta ebreo tedesco Paul Bachrach e di Elvira B. Bachmann, educata a Bruxelles, dove nacque nel 1901 e dove visse nella casa disegnata e arredata per la famiglia da Heinrich Vogeler, architetto, pittore e poeta. Si era avvicinata alla danza espressiva tramite Alexander Sacharoff, famoso per le sue “miniature” plastiche coltissime e fluide, ma anche seguendo il magistero del Principe Raden Mas Jodjana in Olanda. Dopo la prima guerra mondiale, essendosi perfezionata con Berthe Trümpy e Vera Skoronel a Berlino, dette poi vita al suo teatro in quella Svizzera felix, di cui diventerà cittadina.
Il progetto luganese di intrecci tra danze e architetture si è rivelato vincente, nel fare il punto su una nuova concezione della coreografia e una nuova concezione dell’uso di edifici di speciale pregio storico, densi di vita vissuta, o di incisiva e splendente attualità.