Primo incontro con Bruno Zevi
Non ricordo bene la circostanza. Tra fine Settanta e inizi Ottanta, capito al Castello Sforzesco di Milano nel mezzo di una cerimonia. Un signore in giacca e cravatta è invitato a parlare. Il suo timbro di voce denso e deciso richiamava attenzione. Ma vengo irretito nel suo modo di argomentare: arguto, forbito, concreto, solido, sintetico, ben ritmato. Mi dissi: non so chi sia ma è un bell’intellettuale. Saprò poco dopo trattarsi di Bruno Zevi. Asciutto misurato e controllato anche nelle conversazioni telefoniche che avremmo avuto inseguito, tra Roma e Milano.
Diariocinque con Bruno Zevi
Con piacere ricevo adesso il volume (Gangemi editore, 2024) “Fernando Miglietta, Diariocinque con Bruno Zevi”. Conosco bene questa collana di dialoghi a due, retti da Miglietta (ad esempio, con Bruno Munari, con Giulio C. Argan, con Pierre Restany). Questo è il quinto ed è improntato al tema “Architettura e libertà”.
La vita di Abitacolo
L’intraprendente e instancabile Miglietta. Nella sua Calabria ha creato nel tempo un epicentro internazionale di ricerca critica sull’architettura e sull’arte. Un fronte sinergico, un Giano bifronte della bellezza e del senso critico nella città e negli ambienti privati. Un museo sui generis (opere quasi sempre inedite di importanti architetti e artisti) Inoltre, un epicentro di idee che prende corpo nella rivista Abitacolo, da lui fondata.
Quest’attività culturale serrata ha festeggiato i propri vent’anni nel 2020 con un’edizione intonata a “Identità e visioni”. È tipico di Miglietta – architetto, teorico, artista – aprire orizzonti. Dunque Abitacolo ha offerto al mondo della cultura 20 orizzonti. Nient’affatto monocordi. Basta pensare che il tema di turno viene affrontato da una serie di pensatori e progettisti.
Fernando Miglietta, archittto-regista
Vale la pena rilevare che, in questi cinque volumi di dialogo, Miglietta (che non a caso è detto da Renato Nicolini “architetto regista”, a pag. 183) non soltanto interagisce con il personaggio di turno. Egli dapprima porta nel proprio terreno tematico il suo interlocutore. Ma mentre annota la risposta, contemporaneamente metabolizza i punti eccentrici del suo ospite, ed è subito pronto a farne occasione di approfondimento a due.
Sì, ci sono dei leit motiv, come la libertà, la città, il plurale (il critico Miglietta preferisce questo aggettivo sostantivato al sostantivo pluralità, ed ha ragione). E ancora: la bellezza, la critica, l’arte, l’estetica. Parole che potrebbero essere una facile vetrina. Ma si tratta indiscutibilmente di terreni di investigazione dell’inesplorato. Una messe di ipotesi, o prospettive ipotetiche, fissate con occhio libero, anarchico-radicale viene da dire (visto il dialogo con Zevi), ma soprattutto rapito e visionario.
La Gorgone Miglietta
Nessun emblema matematico tipo “come volevasi dimostrare”, nessun assunto aprioristico da divulgare. Terreno accidentato su cui le scarpe fanno mala prova e i piedi ne escono pungolati e la mente di riflesso. Questo intrepido e appassionato intellettuale è la Gorgone Miglietta (così l’ho chiamato). “Il nostro non è questo più questo più questo, ecc. La Gorgone è la Gorgone: tanti sublimi riccioli di capelli-pensiero, diciamo così interdipendenti. Essi, più che avere identità autonoma, sono parte significativa e segnificativa di una identità, la Gorgone” (a pag. 172). Sicché mi fu facile sottolineare che “la filosofia del suo lavoro è quasi frattalica”.
Cosa pensa di lui il suo interlocutore, Bruno Zevi? Qui si apre un lungo dossier di amicizia e di dia-logos.
In questo libro Miglietta ha raccolto scritti inediti del maestro (1918-2000). I due puntualizzano un pensiero critico diagonale e trasversale e riannodano i puntelli di un Diario e di un Carteggio inediti. Vi è anche un apparato bibliografico.
Zevi, una vita da anticonformista e anticcademico. Tutto anticovenzionale
Se Miglietta allievo-collega è visionario ed esaltato, il maestro porta il sigillo incontestabile di una vita anticonvenzionale, di antiaccademico e antidemocristiano. (fu presidente del partito Radicale e, come sottolinea Massimiliano Fuksas, prefatore del libro, fu dotato di capacità di rischiare).
L’analogia tra Zevi e Miglietta c’è. Basta ricordare quanto dice del secondo Enrico Crispolti: “Miglietta pratica l’architettura in senso critico, mettendola in causa, non tuttavia invocandone il rinnovamento, la salvezza, al suo interno, ma provocandola in un confronto al suo esterno” (a p. 102).
Per una radicale revisone critica
Non si tratta di recupero della cosiddetta architettura radicale, tra anni Sessanta e Settanta. Si tratta di una radicale revisione critica che, come vogliono i nuovi tempi, non può che essere complessa, e quindi aperta e disponibile alla sorpresa. Il divertimento non manca ed è sempre in agguato. Soprattutto in rapporto al futuro col quale anche Zevi amava misurarsi.