Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione proposta da Malta che chiede “pause e corridoi umanitari urgenti ed estesi in tutta la Striscia di Gaza per un numero sufficiente di giorni per consentire l’accesso di aiuti”. Stati Uniti, Regno Unito e Russia si sono astenuti. L’astensione degli Usa è stata motivata dal fatto che nella risoluzione non si faceva alcun cenno all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre. Il governo di Tel Aviv ha respinto la risoluzione richiedendo l’immediato rilascio degli ostaggi quale premessa per passi successivi.
Tel Aviv in difficoltà
Il muro contro muro fra Hamas e Israele non gioca sicuramente a favore di Tel Aviv, sul piano diplomatico, su quello interno e su quello dell’opinione pubblica mondiale. Le manifestazioni di massa contro la guerra a Gaza e l’antisemitismo montante preoccupano gli israeliani che non credono all’impostazione vagamente messianica che Netanyahu ha voluto dare al conflitto. Secondo i media israeliani solo il 5% della popolazione ripone fiducia nel Primo ministro, mentre resta altissimo il livello di stima di cui gode l’esercito. La diplomazia di alcuni Stati mediorientali ottiene qualche concessione da Israele in termini di aiuti umanitari, ma non c’è alcuna chiarezza sul futuro della regione.
Le dichiarazioni, le intenzioni, i fatti
Ciò è dovuto al fatto che il governo di Tel Aviv non ha mai chiarito le sue intenzioni per il dopoguerra. Continua ad escludere la prospettiva di due Stati, malgrado il consenso generale a questa soluzione, e non formula alcun piano alternativo. Anzi avverte i palestinesi profughi che devono portarsi ancora più a Sud, senza precisare dove, per mettersi al sicuro dalle conseguenze della guerra. L’Egitto, che già accoglie decine di migliaia di profughi provenienti dal Sudan, non intende ospitare nel Sinai i palestinesi in fuga.
Netanyahu e la Destra
Si ha l’impressione che l’intenzione di Netanyahu, conformemente agli orientamenti radicali semi-fanatici dei partiti della Destra che lo sostengono, sia quella di portare a termine la terza espulsione di massa degli arabi dalla Palestina, dopo quelle del 1948 e del 1967. A confermare questo obiettivo giungono dalla Cisgiordania notizie di scontri a fuoco fra coloni intenzionati a creare nuovi insediamenti intimidendo e allontanando gli arabi. La monarchia giordana ha già denunciato la pressione che verrebbe a crearsi ai suoi confini.
Per il momento l’Iran e Hezbollah dichiarano di non voler entrare nel conflitto, bloccati dall’imponente macchina da guerra americana presente nella zona. Ma la situazione che si è creata ha poco a che fare con una pace stabile nella regione, alla quale tutti dichiarano di aspirare.
I dati aggiornati sul conflitto: OCHA United Nations Office for tyhe Coordinations of Humanitarians Affairs
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